Negli ultimi mesi due notizie sono sfuggite all’opinione pubblica italiana, nonostante abbiano un peso tutt’altro che secondario nel futuro economico del BelPaese: la banca centrale cinese ha superato il 2% nelle quote azionarie sia di Enel che di Eni, e la Shanghai Electric ha acquisito il 40% del capitale di Ansaldo Energia. Queste importante importanti acquisizioni invitano a riflettere, nuovamente, sui rapporti commerciali tra i Paesi membri dell’Unione Europea e la Repubblica Cinese, e in particolare sulla presenza o meno di reciprocità nelle relazioni.
Sia per quanto riguarda l’import-export, sia per quanto riguarda il flusso di investimenti (e di persone), la Cina ha da anni le porte aperte in Europa. Da quando si è smesso di contingentare i prodotti cinesi, si è assistito ad una vera e propria invasione pacifica di prodotti Made in China e, negli ultimi anni, di capitali cinesi. Ma se gli investitori Cinesi trovano le porte dell’Europa spalancate altrettanto non si può dire o stesso per gli investitori europei che vogliono entrare nel mercato cinese. Se, per citare un esempio concreto, alla cinese Geely è stato consentito di acquistare il 100% della svedese Volvo, alle aziende europee non è assolutamente consentito l’acquisto di una qualsiasi casa automobilistica della terra di Confucio.
C’è infatti una sostanziale differenza tra il sistema europeo e quello cinese: mentre in Europa ciò che non vietato è permesso, nell’ex Celeste Impero, al contrario, ciò che non è permesso è vietato. Se a prima vista tale differenza può sembrare minima, nei fatti risulta sostanziale. Il governo cinese ha infatti stilato un dettagliato catalogo in cui sono descritti quegli ambiti in cui è permesso investire e quelli in cui si è incentivati ad investire (tramite sgravi fiscali e altro). Su tutto ciò che rimane fuori da tale catalogo, non è permesso impiegare del capitale.