Reportage, Viaggio tra le Contraddizioni di Bucarest

Le rughe sui volti degli anziani seduti in Piazza San Giorgio evocano ricordi indelebili, le cicatrici del regime Ceausescu sembrano ancora fresche nonostante siano passati 26 anni. Gli edifici cercano di fondersi tra loro mascherando con scarsi risultati un contrasto tra passato e presente troppo marcato, le macchie sui muri sembrano un pianto di qualcosa che poteva essere e non è mai stato. Crepe e rovine si alternano a palazzi recenti, creando due facce di Bucarest, una che guarda indietro con sofferenza, l’altra vogliosa di rilancio, dimostrando quel qualcosa necessario a far capire che la città deve provare un sentimento di ambizione, deve credere nel futuro.

Le persone che si incontrano camminando per gli enormi boulevard presenti evocano un melting pot inaspettato, culture differenti che si mischiano convivendo tra di loro. Il gioco dei contrasti ricopre un ruolo fondamentale, ricchezza e povertà sono in guerra, con la seconda in netto in vantaggio. Bucarest è anche questo, un angolo di strada in cui può sfrecciare una bella macchina può fare da palcoscenico a una trattativa per l’acquisto della dose giornaliera di eroina, apoteosi della diversità. Una ricerca compulsiva dell’occidentalizzazione da parte delle nuove generazioni si scontra con una classe antica legata alle tradizioni, tutto avvolto dai ritmi frenetici di una città confusa, che non sa cosa vuole, che non sa a chi o cosa somigliare.

Gli otto binari della Gara de Nord fanno da cornice a intrecci di vita quotidiana, susseguirsi di ore e minuti, ritagli e frammenti di qualcosa di folle e incomprensibile. Prima di un blitz della polizia, la vita di strada si consumava in questa stazione, o meglio, sotto questa stazione. Tra canali e tubature il regno di Bruce Lee prendeva forma, fonte inarrestabile di spaccio, dove i tossici reperivano l’eroina e i bambini l’Aurolac da sniffare dentro i loro sacchetti color morte. Lo spettacolo che si presenta ora è totalmente diverso, forze dell’ordine affollano ogni mattonella di questo posto, si respira la voglia di dimenticare una pagina triste e dolorosa, qualcosa che non rientrava nei canoni della società ma allo stesso tempo ne faceva parte con tutte le sue sfaccettature, con tutta la sua malvagità e con tutto il suo dolore.

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Ci viene detto che il centro della città, dopo l’entrata della Romania nell’Unione Europea avvenuta nel 2007, è stato tirato a lucido per i turisti, che quella non è la vera Bucarest, che per respirarla, per viverla, devi uscire. La vista appena ci si allontana dai palazzi moderni e hotel di lusso inizia a cambiare radicalmente, il degrado aumenta, le facce cambiano. Nella periferia le fabbriche di armi abbandonate dopo la caduta di Ceausescu si accorpano, formando delle vere e proprie città fantasma popolate da cani randagi, la natura inarrestabile nel suo progredire sta prendendo il sopravvento sul cemento sgretolato. Paradiso dei writer di giorno, inferno per i tossici la notte.

Bucarest insegna, ma non con quella presupponenza saccente tipica di chi le cose le sa, ma con delicatezza e discrezione, sotto forma di consiglio paterno sussurrato all’orecchio.

Bucarest è questo e anche altro, sottili filamenti di speranza sovrapposti a dolore e decadimento. Ricordi indelebili che stentano ad abbandonare la memoria di una città rimasta bruciata, violentata, privata del suo orgoglio. Gli occhi delle persone mostrano quella fierezza spiazzante, di qualcuno che ha visto tanto, forse troppo, ma continua a camminare a testa alta nel suo quartiere, fiducioso che le cose possano cambiare, che il futuro riservi un destino migliore del passato.