Nei periodi di crisi economica come quello che stiamo attraversando, le persone aumentano il grado di attenzione verso le spese superflue e tendono a consumare una quantità di beni e servizi spesso molto inferiore a quello cui sarebbero abituati in uno standard di vita normale. Questo comportamento porta a una forte contrazione della spesa, dei consumi e, quindi, del PIL di un Paese. Un fenomeno indotto da queste situazioni di crisi, ma che sfugge a tutte le misurazioni possibili di statistiche nazionali, è il ritorno al baratto: io non ho soldi per pagare l’idraulico che viene a ripararmi la lavastoviglie ma, d’altra parte, sono bravo a cucinare e pertanto potrei offrire a qualcuno questa mia competenza.
Quando il denaro scarseggia, il tempo diventa la nuova moneta di scambio. Così, il fenomeno delle Banche del Tempo, nate negli anni ’90, torna in auge in periodi come questo, caratterizzati da incertezza, precarietà, diffidenza, solitudine e scarsità di risorse pubbliche e private.
Il riconoscimento giuridico delle Banche del Tempo si trova all’art. 27 della legge 53 del 2000, rubricato “Banche dei Tempi” che le definisce come Istituzioni del “terzo settore”.