L’utilità di accostare il lavoro alla preparazione teorica: uno “strumento di realizzazione umana”.
Le statistiche relative all’occupazione giovanile in Italia riportano valori poco rassicuranti; sorge spontanea una domanda: studiare o inserirsi nel mondo del lavoro?
Per quanto il differenziale tra occupazione dei neo-laureati e impiego dei semplici diplomati riporti un aumento tale da assestarsi al 12%, il dato negativo è che la disoccupazione stia aumentando per entrambe le categorie di potenziali nuovi lavoratori.
Si presume che, una volta affrontato un percorso settoriale di studi, si ottenga una maggiore possibilità di inserimento nell’ambito lavorativo prescelto; tuttavia, tale ragionamento trova realizzazione per il 69% dei candidati al sondaggio.
Ulteriore dato allarmante è la continua fuga di laureati verso mete estere, più retribuite, più avvincenti e più rassicuranti.
Si profilano differenti soluzioni a tale problematica: maggiori competenze pratiche ottenute a livello scolastico, un più stretto dialogo tra istituti e aziende, un meccanismo semi-automatico di inserimento nel settore lavorativo di studi e una maggiore continuità tra studi e impiego.
Secondo i dati Istat, si ricercano nei futuri assunti alcune skill che consentono una maggiore possibilità di riuscita: un soggiorno di studi all’estero, ad esempio, garantisce in media un aumento del 20% nell’assunzione a fine studi; l’aver svolto uno stage curricolare, sulla base delle competenze acquisite, consente un +10% nelle scarse opportunità di impiego nella realtà nazionale italiana.
Per quanto il numero di lavoratori completamente inattivi stia diminuendo, dato sintomo di un superiore tentativo di partecipazione alla realtà professionale, l’ammontare dei disoccupati aumenta antiteticamente; si è infatti raggiunto il valore minimo nelle serie storiche, 44% del cluster compreso tra i 15 e i 24 anni, numero registrato nel corso del primo trimestre del lontano 1977.
Su 100 individui neolaureati, compresi dunque nella fascia di età tra i 25-34 anni, quasi 18 non vedranno realizzare le loro prospettive lavorative nel breve periodo, indicatore raddoppiato negli ultimi 5 anni.
La crescente apertura delle università italiane nei confronti di altri atenei europei e internazionali consente, agli studenti meritevoli, di usufruire di potenziali esperienze pratiche quali stage e tirocini. Queste opportunità, notevolmente riconosciute quale plusvalore da parte dai recruiter, garantiscono allo studente una maggiore possibilità di riuscita.
Nell’università riformata i tirocini e stage costituiscono elemento della formazione di un’elevata percentuale di laureati e riscuotono spesso positivi apprezzamenti anche per quanto riguarda la qualità delle esperienze stesse. Il fatto che fra i giovani più freschi di laurea 57 su 100 concludano i propri studi vantando nel proprio bagaglio formativo un periodo di stage (in gran parte in azienda), riconosciuto dal corso di studi, conferma la correlazione necessaria tra lavoro e professione.
Un ulteriore fenomeno universitario in fase di riconoscimento istituzionale e giuridico è quello delle Junior Enterprise: associazioni studentesche che operano come società di consulenza senza fine di lucro, composte e gestite da studenti. Tali associazioni intendono favorire la diffusione dello spirito d’impresa e di competenze tecnico-manageriali ai fini di un’efficiente preparazione degli associati. La prima Junior Enterprise in Italia, JEME Bocconi, è stata fondata nel 1988.
A tal proposito, il Vicepresidente di Confindustria Marco Gay si è soffermato in una profonda considerazione da fare propria e da condividere, la quale si prefigge un sostanziale rinnovamento dell’approccio all’università:
Le esperienze come quella di JEME Bocconi supportano un cambio di paradigma per noi imprenditori molto importante. Ancora oggi vige una regola non scritta per cui “prima si studia, poi si lavora” cosicché la maggior parte dei giovani che entrano in azienda, pur con molti talenti e conoscenze, non ha avuto esperienze di lavoro durante il percorso di studi. Dobbiamo invece concepire il lavoro come strumento di realizzazione umana, di autostima, di dignità e di integrazione sociale accompagnando al “sapere” – attraverso i percorsi scolastici e universitari – il “saper fare”.
Si ha dunque una parziale riforma del sistema scolastico, una nuova apertura alla necessità di concretezza mirata ad acquisire la conoscenza pratica tanto richiesta da questa era storica. È da questo fenomeno che scaturiscono nuove opportunità, percorsi altamente formativi paralleli agli studi e complementari ad essi.