Il femminicidio è negli ultimi tempi uno dei fenomeni più discussi dai media nazionali, tanto da spingere il Parlamento a legiferare ad hoc per provare a risolvere la piaga della violenza sulle donne. Ormai da mesi quotidiani e telegiornali dedicano ampio spazio all’argomento riportando le dimensioni e i numeri di questa triste dinamica sociale, considerata la prima causa di morte per le donne tra i 16 e i 44 anni di età. Forse è opportuno dare però un occhio alle cifre ufficiali per rendersi conto di come i media abbiano enfatizzato una causa senza dubbio giusta ma non per questo di urgenza assoluta rispetto al più ampio scenario della società italiana.
I dati dell’Istituto nazionale di statistica (Istat) mostrano infatti una realtà ben diversa da quella fotografata da molte testate giornalistiche, in primis sui dati delle vittime di femminicidio: dal 2003, in cui i decessi per omicidio volontario sono stati 192, si è passati ai 137 nel 2011. E nel 2012 il dato conferma il calo progressivo, con 124 decessi, mentre le voci allarmistiche di molti mezzi d’informazione sembrerebbero suggerire un pericoloso aumento. Inoltre, sempre secondo l’Istat, l’Italia è uno dei Paesi col minor tasso di omicidi in Europa (come riportato nella tabella), sconfessando un clima mediatico che caratterizza il femminicidio come un fenomeno “patologico” del nostro Paese. I dati dell’Istat raccontano di uno Stato in cui anche la criminalità (riguardo a vittime di entrambi i sessi) è combattuta con forza: basta guardare indietro di vent’anni per vedere come i numeri siano drasticamente crollati. Nel 1991, su 1901 vittime, più di 700 erano da additare alla criminalità mentre nel 2006 il dato è sceso fino a 109.
Altro tabù da sfatare il mito secondo cui la prima causa di morte nelle donne tra i 16 e i 44 anni sarebbe la violenza domestica, proprio come riportato dal Corriere della Sera e da Io Donna. Le ricerche condotte dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) dimostrano infatti che la prima causa di morte delle donne nel mondo sono le epidemie parassitarie, mentre la violenza domestica occupa appena la nona posizione rappresentando circa l’1,7% dei decessi totali.
L’omicidio anche di una sola donna è fatto d’innegabile gravità. I media tuttavia ci lasciano supporre che, senza manipolare dati e dimensioni, l’importanza della lotta al femminicidio non può essere dimostrata. Così si riempiono le pagine e i minuti del telegiornale, dando numeri senza contestualizzarli e promuovendo campagne mediatiche, come se l’Italia soffrisse un’epidemia. Resta da chiedersi perché si abusi di un argomento così drammatico: si può fare disinformazione per vendere più copie e fare più ascolti, anche sulla pelle delle donne?
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