Prendete una villa da sogno o semplicemente un grosso complesso abitativo dell’alta California. Installate una fibra ottica imponente e riempite la casa di letti, cibo e una cucina abbastanza grande per ospitare una truppa di almeno 20 persone. Trasformerete un’abitazione familiare all’americana in un laboratorio creativo del terzo millennio. Nasce così la filosofia del co-living e del co-working della Silicon Valley. Uno stile di vita e di lavoro che si è diffuso a macchia d’olio nella nuova terra di conquista dei millenials digitali. Scopo, ricreare uno spazio abitativo in cui far nascere idee, sviluppare progetti, creare start-up condividendo la propria vita in un’azienda casalinga attiva 24 ore su 24.
L’idea nata tra Palo Alto e Cupertino è figlia del boom economico vissuto dalla Valley più famosa del mondo, diventata con la nascita di tutte le aziende padrone della rete un polo di attrazione per i talenti di tutto il mondo. Un’idea vincente, dovuta al decuplicarsi negli anni del prezzo degli immobili e della vita, che rischiavano di rendere impossibile lo sbarco dei millenials alle prime esperienze. Si calcola infatti che co-abitare in una di queste comuni costi circa 7 volte meno rispetto allo scegliere uno stile di vita solitario. E nella Silicon Valley sono già nate le prime community, i primi quartieri del coliving, in cui i futuri Mark Zuckerberg hanno come unica proccupazione quella di creare la Facebook del futuro.
La comunità provvede al cibo, alle pulizie e ai servizi di prima necessità, perché qui le parole d’ordine sono creare, lavorare, avere successo. Sono bastate le immagini della series HBO “Silicon Valley” per creare il dibattito in America sulla rivincita dei nerd nei confronti del mondo glamour californiano figlio della più blasonata Mecca del cinema, Hollywood. Gioiscono i buoni vecchi immobiliaristi americani, che dopo la crisi immobiliare del 2009 riescono a far segnare un clamoroso segno positivo sulla vendita di grandi immobili, rimasti per una decina d’anni sfitti poiché considerati fuori dalla portata degli statunitensi in ristrettezze economiche. E c’è chi parla di trapiantare questo modello nelle nuove capitali dello sviluppo economico. Chissà come sarebbe per esempio una città come Milano, se diventasse la capitale del nerdismo d’avanguardia, pronta a sfornare una Google italiana o semplicemente diventando il polo di attrazione per coloro che vedono nel futuro una possibilità di co-abitare solo con la genialità e la tecnologia.