Può un oggetto tra i 5 e i 7 metri di lunghezza tenere in scacco 3 potenze mondiali arrivando fino al condizionarne pesantemente le rispettive politiche estere di espansione o di difesa? Può una moderna spada di Damocle pendere a tal punto da determinare, addirittura con la sola possibilità di utilizzo, l’esposizione diretta o meno di uno Stato decisivo come quello russo nell’anticamera temporale del conflitto siriano? Risposta affermativa può essere data ai due suddetti quesiti, se l’oggetto in questione prende la forma di uno dei missili tra i più efficaci e potenzialmente decisivi dell’intera storia degli armamenti: S-300 è il nome, considerato negli ambienti mediorientali un vero e proprio osservato speciale di questi tempi.
Una famiglia di missili, creata ancora durante l’Unione Sovietica ma con notevoli evoluzioni giunta fino ai giorni nostri, gioca un ruolo decisivo nella politica estera della nazione putiniana. Armi ideate inizialmente per contrastare velivoli e missili da crociera nemici, nell’ultima fase di aggiornamento si sono arricchite della possibilità di contrastare, abbattendoli, missili balistici. Negli ultimi diciotto mesi dopo vari negoziati, il governo siriano ha comprato dalla Russia il sistema di fornitura missilistico terra-aria in questione, in aggiunta a 12 aerei Mig-29M, anche se numerose fonti dichiarano che ancora non siano stati consegnati al compratore. Ufficialmente i russi sostengono, per bocca del ministro degli Affari Esteri Sergey Lavrov, che rimangono degli intoppi sul pagamento; in realtà, Putin ritiene molto rischioso in un momento delicato come questo fornire alla Siria un’arma potenzialmente molto pericolosa per l’immenso e districato focolaio mediorientale. Il timore di trasformare un conflitto delimitato territorialmente in uno scontro dal forte sapor di guerra fredda è molto alto e, probabilmente per questo, ancora oggi non risultano presenti in terra siriana quelle particolari armi.