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Focus America –budget federale e difesa

Nonostante il mandato presidenziale di Barack Obama stia ormai volgendo al termine lasciando spazio al rindondante spettacolo di retorica delle campagne politiche dei pretendenti alla Casa Bianca, il Presidente degli USA è deciso a lasciare il segno anche negli ultimi mesi di lavoro. Nonostante infatti il mainstream presti più attenzione ai risultati provvisori e incerti dei polls e al femminisimo e ostrazionismo sconcertante di alcuni candidati, Obama nelle ultime settimane ha dovuto sostenere alcune delle sfide più decisive del suo governo: dopo aver ratificato la TPP (Trans Pacific Partnership), redatto proposte di riforma rivoluzionarie riguardo all’emissione di polveri sottili, e aver raggiunto aperture importanti con l’Iran, il Presidente ha disposto per la quinta volta del potere massimo che prevede la sua carica, il veto.

Il National Defense Authorization Act (NDAA), ovvero il programma per l’allocazione di fondi ($612mld) al Dipartimento della Difesa e’ stato rispedito sui banchi del Congresso, capitanato al momento da una maggioranza repubblicana in entrambe le camere.  Stando a una conferenza stampa che si è tenuta nell’ufficio ovale, il documento allocherebbe fondi in maniera controproduttiva agli sforzi contro il recrutamento di terroristi: esso non solo prevede la continuazione di “tecniche di interrogatorio forzate”  e lo stanziamento di piu’ di $38mld per operazioni militari contingenti portate avanti da gruppi belligeranti come in Syria e Ukraina, ma anche l’impossibilità di chiudere il centro di detenzione segreto di Guantanamo Bay.

Seppure per piu’ di 50 anni il NDAA non fosse stato ostacolato dalla Presidenza, Obama si è mostrato particolarmente rigido nei confronti dei repubblicani in modo tale da acquisire leva per il Bipartisan Budget Agreement, il programma per lo stanziamento di $4,000mld in fondi federali approvato da una maggioranza bipartisan. Questo successo politico sicuramente incorona la disponibilità di un governo a metter da parte dispute interne nell’interesse comune della società civile, ma non fornisce alcuna determinazione precisa sulle future strategie politiche nel merito: il budget per la difesa sarà nuovamente ostacolato, con il rischio che il Congresso riesca a raccogliere i numeri necessari a bypassare il veto presidenziale e umiliare il Presidente, o verrà ratificato in nome del compromesso politico cosi concedendo all’ esecutivo entrante di avvalersi ancora una volta di poteri straordinari nella lotta al terrorismo?

Una cosa almeno è sicura, e cioè che Obama si conferma un Presidente che non ha paura nè di provare ad innovare, nè di osare ad incalzare i candidati repubblicani alla presidenza; in seguito alle critiche mosse nei confronti dei giornalisti televisivi, che nel dibattito repubblicano di settimana scorsa hanno messo in difficoltà i concorrenti alla nomination con domande ostiche e frecciate, Obama ha affermato: “Non credo che avranno molto potere negoziale con Xi-Jinping e Putin se non riescono a gestire una manciata di domande poste durante un dibattito televisivo”…

Focus Russia – tra guerra e pace

Nonostante Putin abbia governato il suo Paese da più di 15 anni, il pensiero del Leader del Kremlino si è sviluppato nel tempo su false righe altalenanti e ideologie contrastanti, che al momento giovano al Presidente che puo’ beneficiare di uno storico tasso di approvazione in patria di circa il 90%, secondo Russia Today (RT) il principale canale di informazione Russo. Lo stesso media spiega che queste statistiche sono giustificate dai recenti attacchi aerei mirati contro l’opposizione Syriana e l’ISIS, cosi come i protratti scontri in Ukraina. Inoltre l’anno scorso, lo stesso RT insieme al Levada Center, aveva fatto trapelare un sondaggio popolare, secondo il quale il pericolo pubblico numero uno per la Federazione era costituito dagli USA piuttosto che da Cina, Iran, Korea del Nord o lo stesso ISIS. Ed è proprio in questi giorni che sul fronte americano uno stimato giornalista del Washington Post ha affermato che RT dovrebbe essere oscurato e espropriato dei propri assets in quanto rappresenta un chiaro strumento propagandistico a disposizione del Kremlino per rispondere ai bisogni domestici e unire la popolazione in termini di politica estera. Dunque, poco sorprende che un’escalation di toni sia alla base della dialettica russo-americana, ma quali sono, se vi sono, le linee guida del rapporto tra le due super potenze?

Iniziamo dalla diplomazia per passare poi all’azione. La presenza di Vladimir Putin  alla settantesima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite in Settembre ha sollevato molto clamore tra policy-makers e analisti, in quanto per la prima volta in dieci anni un presidente russo ha preso parte attivamente all’evento. Ma c’è di più: è stata anche la prima volta dopo lo scoppio della crisi in Ukraina che Obama e Putin si sono incontrati apertamente. Tuttavia nonostante la grande attesa per il confronto diretto tra i due leader, non è stato raggiunto un dialogo costruttivo e entrambi si sono limitati a un discorso unilaterale e inefficace. Se da una parte il capo di stato USA si è dimostrato critico dei poteri forti in quanto destabilizzatori politici, la controparte russa ha sottolineato prontamente come la mancata osservanza delle norme delle Nazioni Unite porti a violare la sovranità popolare e la legittimità del processo politico.

Infine i fatti sul campo parlano da sè: sottomarini russi che pattugliano le fibre ottiche statiunitensi sui fondali marini, la destabilizzazione della Bosnia appoggiata dalla minoranza Serba filorussa, una crisi in Ukraina senza uscita e uno spiraglio di violenza inaudito in Syria, dove caccia americani e russi si incrociano a poche miglia di distanza gli uni dagli altri ma con l’ordine di non comunicare o cordinarsi tra loro. L’evidenza degli ultimi due anni a questa parte dimostra un accentuato inasprimento dei rapporti tra le due super potenze, basato per lo più su considerazioni strategiche miopi. Lo stesso Maliki, ex PM Iraqeno e storico alleato USA ha pugnalato alle spalle ieri gli alleati occidentali, affermando che gli sforzi della coalizione nella regione si sono dimostrati inefficienti e frutto di una cospirazione regionale.

Tuttavia la sete di potere egemonico può esser inseguita solamente ad un caro prezzo, come testimoniano le 224 vite perse sul charter russo sabotato sopra il Sinai a causa della presenza di una bomba a bordo (i servizi di intelligence egizi sono restii a dichiararlo ufficialmente, ma basta un’occhiata superficiale al video della caduta perchè uno si possa fare un’idea oggettiva), e i restanti 80mila russi rimasti bloccati nel paese africano in attesa di esser evacuati. Forse Putin aveva dimenticato gli effetti collaterali di un imperialismo smisurato, o forse lo stesso sentimento di revanchismo russo che lo posiziona sul picco del gradimento gli permetterà di muoversi sull’offensiva ancora negli anni a venire.