Il terzo settore in Italia produce all’incirca il 4 % del PIL. Le organizzazioni che lo compongono (cooperative sociali, associazioni di volontariato, organizzazioni non governative, ONLUS, fondazioni, imprese sociali) sono soggetti che si pongono a metà strada tra lo Stato e le imprese e il cui fine ultimo è rappresentato dalla produzione e lo scambio di beni e servizi di utilità sociale. Non solo volontariato, ma anche attività imprenditoriali prive naturalmente dello scopo lucrativo.
Il vincolo giuridico, dettato dall’art 3 co. 2 D.lgs. n. 155/2006, che impedisce alle imprese sociali la redistribuzione degli utili, si è rivelato essere una delle principali cause della sottocapitalizzazione delle stesse nel nostro Paese. Quest’ultimo aspetto influisce negativamente sulla loro capacità di far fronte alle esigenze finanziarie precludendo loro la possibilità di far ricorso al capitale di debito. Le uniche fonti di finanziamento su cui possono fare affidamento sono rappresentate dal settore pubblico e dalle donazioni dei privati che però non riescono a garantire la stabilità finanziaria necessaria.
Numerose sono le istanze di cambiamento provenienti dalla società civile. Esse auspicano una modifica della disciplina che dia all’imprenditoria sociale la possibilità di potersi sviluppare e crescere , superando i limiti dettati dalle attuali scarse disponibilità finanziarie. È necessario incrementare dunque la loro capacità di attrazione di capitali, ma il processo legislativo da intraprendere potrebbe essere lungo e difficoltoso.