Scaduti, invenduti, surplus o avanzi: chiamateli come vi pare, tanto poco cambia. Il succo è solo uno: spreco, spreco e ancora spreco. E si sa che, se il problema diviene rilevante, anche l’occhio dei big si sposta per un secondo sull’argomento.
Con il nuovo anno, infatti, il Ministero dell’Ambiente ha istituito – il 5 febbraio – la giornata della prevenzione dello spreco alimentare nel Belpaese, seguendo l’iniziativa a livello mondiale. La problematica non è affatto leggera. Anzi, ha un peso ben preciso: 1.3 tonnellate di miliardi all’anno (FAO). E anche a in Europa la situazione non è rosea: ogni anno sono 840 i chili di cibo che vengono prodotti per ogni cittadino europeo. Di questi, soltanto 560 kg vengono effettivamente consumati. Quasi 200 chili vengono infatti sprecati prima di arrivare sulle tavole dei consumatori e la parte restante viene cestinata da questi ultimi. Sembrano quantità industriali (e anche un po’ astratte, a dirla tutta), eppure non si tratta di fantascienza: è pura realtà. Nei campi ma anche all’interno delle industrie alimentari, nella distribuzione e nel consumo finale: lo spreco non ha confini.
Ma come ovviare al problema? Slow Food propone un primo rimedio semplice ed efficace: “informare ed educare il consumatore”, promuovendo un sistema alimentare alternativo a quello caratterizzato dallo spreco. Una soluzione che sembra dare ottimi risultati. Rispetto agli anni precedenti, nonostante le quantità di cibo sprecato siano ancora in aumento, nei consumatori (italiani soprattutto) è cresciuta la consapevolezza a proposito del problema e un’effettiva risposta. Ben 6 italiani su 10 hanno infatti diminuito o addirittura annullato – forse proprio a causa della crisi economica – gli sprechi quotidiani nel 2014. Ma la strada – per l’appunto – è ancora lunga: sono oltre 76 i kg di prodotti alimentari che vengono annualmente cestinati (e perciò sprecati) da ogni italiano; dato allarmante, se si pensa che nel 2013 la quantità era pari a 49 kg. Ma l’aspetto più preoccupante, in realtà, è che, a monte della produzione di cibo non consumato e gettato nella spazzatura, ci sono milioni e milioni di metri cubi d’acqua sprecati. A partire dalla carne per passare a frutta, verdura, cereali, latte e derivati. Non solo: il cibo sprecato contribuisce all’inquinamento del pianeta, rilasciando CO2.
Fondamentale è dunque fare la propria parte, partecipando attivamente alla campagna anti-spreco, in nome di un’alimentazione corretta e sostenibile. In che modo? Diminuendo gli avanzi, per esempio consumandoli il giorno dopo. Oppure non cestinare cibo dopo un’abbuffata fuoriporta: solo il 10% degli italiani fa uso della doggy bag, la pratica scatoletta che consente di portare a casa da bar e ristoranti gli alimenti rimasti nel piatto. E ancora: comperare solo il necessario, evitando grandi spese che spesso portano dritti nella spazzatura decine di alimenti, freschi e non. E poi consapevolezza e coscienza critica. Il primo passo si è consumato – ufficialmente – il 5 febbraio. La strada è ancora lunga.