Negli ultimi giorni, un nome su tutti: Sara. La giovanissima ragazza uccisa in via della Magliana, a Roma, dall’ex fidanzato Vincenzo – un ragazzo “gentile e premuroso”. I fatti e la dinamica dell’omicidio sono chiari a tutti. Ma cosa c’è dietro? Come ci si sente ad essere oppressa, angosciata, schiacciata dalla presenza non gradita di qualcuno?
In un messaggio ti dice che sei stata un grande amore, forse il più grande di tutti; in quello dopo ti dice che presto vedrai le conseguenze della tua decisione (di non vederlo e non sentirlo più). Ti scrive che sei più importante della sua stessa vita, per poi vomitarti addosso le cose peggiori che si possano dire ad un essere umano. Minimizza te e i tuoi progetti, le tue ambizioni, per poi chiamarti quattro, cinque, sei volte di seguito per “chiarire”. E tu non rispondi. E lui si arrabbia e ti offende ancora di più.
Violenza: psicologica e verbale, prima ancora che fisica. Umiliazione: la tua, che ti senti dire – gratuitamente – le cose peggiori. Paura: che non si fermi alle parole. Rabbia: perché sai di non aver fatto nulla per meritare questo, ma resti comunque impotente. E poi c’è quel dubbio, quello che ti logora dall’interno e che può arrivare a consumarti: e se fosse stata colpa mia? Se fossi io quella sbagliata, quella fatta male? Ma no, non sei tu ad essere fatta male. Sei tu quella a cui viene fatto del male. Quel male sottile, subdolo come la goccia che perde dal rubinetto; subdolo come il ticchettio dell’orologio nel cuore della notte; quel male che non passa con un antinfiammatorio qualunque ma che solo il tempo può affievolire; quel male che ti cambia e che, probabilmente, ti condizionerà ancora nelle prossime relazioni interpersonali.
Spesso sono questi i tratti caratterizzanti un rapporto insano che può sfociare in qualcosa di doloroso, ingiusto e per molti incomprensibile. E questi sono, con molta probabilità, alcuni dei campanelli d’allarme che ha avuto Sara nel periodo che ha preceduto il suo omicidio. E no, non aveva denunciato. Perché? Perché, nonostante la paura, l’umiliazione, la violenza verbale ha scelto, come tante altre donne, di non segnalare il suo ex ragazzo alle autorità? Forse perché con le parole siamo bravi tutti: in tv e sui social parliamo di stalking, di femminicidio, dell’importanza di chiedere aiuto… e poi? Poi deve succedere una tragedia del genere per smuovere politici, magistrati, opinione pubblica?
La verità è che in quei momenti ci sentiamo sole. Ci sentiamo sole e giudicate. Ci sentiamo sole e impotenti. C’è chi ha provato a denunciare qualcuno, sentendosi dire “eh, ma non ti ha minacciata di morte e quindi non possiamo fare niente” e chi “eh, ma tu hai risposto ai messaggi” (ma mi permetto di segnalarvi che la Corte di Cassazione ha affermato che “Bombardare l’ex amante di messaggi e telefonate può integrare il reato di stalking. Ed è irrilevante, a tal fine, il fatto che la donna talvolta abbia risposto ai continui tentativi di comunicazione”). Eh sì, perché per un motivo o per un altro siamo sempre noi donne a non saper gestire la situazione. Però poi il Paese e le persone restano sotto shock quando la vita di una Sara (perché di Sara ce ne sono tante, purtroppo) viene spenta dall’egoismo bestiale di qualcuno.
E magari queste stesse persone stanno puntando il dito contro quei testimoni che non si sono fermati in via della Magliana, in piena notte e nell’incertezza di quanto stesse davvero accadendo. Non veniteci a parlare di indifferenza. D’ora in avanti, con una maggiore attenzione a quei campanelli d’allarme che pare ormai sappiano riconoscere tutti, fate la differenza!