“Stay Foolish” di Jobs VS “Stay Controlled” di Hollande: Intervista ad Alessandro De Nicola

Il Cda ha anche istituito il nuovo “Comitato analisi scenari internazionali”, di cui lei farà parte, in sostituzione del “Comitato per le strategie”. Questo nuovo organo avrà il compito di fornire, a supporto delle attività del Cda, “approfondimenti mirati su opportunità e rischi geopolitici rilevanti” per le linee di indirizzo strategico del gruppo. Cos'è che cambia?

Il comitato per le strategie era stato giudicato, nell’autovalutazione del precedente consiglio d’amministrazione, come uno strumento che fosse un po’ defocalizzato . Mentre Finmeccanica è una società che è presentissima all’estero e ha business che non possono prescindere dalle dinamiche della politica internazionale. Penso sia stata una buona decisione, che grazie alle competenze di membri come Marta Dassù, ex viceministro per gli Esteri e studiosa competente di relazioni internazionali, sarà sicuramente più focalizzato del comitato strategie.

Le chiederei ora invece di assumere le vesti del professore universitario per rispondere a questa domanda.

Tenga conto però che io sono un docente a contratto, quindi non sono parte stabilizzata dell’accademia. Questo lo scriva perché non vorrei passare come uno che si attribuisce titoli non propri. Preferisco essere chiaro (ride).

Recentemente la stampa internazionale, in special modo, il Financial Times ha dedicato molto spazio alla discussione dell' International Student Initiative for Pluralism in Economics (ISIPE). Lei in quanto professore in uno degli Atenei più prestigiosi, se non in Italia, nel mondo, per lo studio dell'economia, considera fondata la richiesta avanzata dai sostenitori di questo movimento circa l'inserimento all'interno del curriculum accademico di un maggiore pluralismo teorico, metodologico e interdisciplinare?

Io credo che l’economia sia una scienza sociale, e non una hard science. E quindi come in tutte le scienze sociali l’approccio può essere più evolutivo sia nell’insegnamento sia nelle metodologie, e soprattutto, nell’apertura a quelli che sono dei punti di vista diversi.

Detto ciò naturalmente ci sono dei limiti. Perché è vero che si tratta di una scienza sociale, ma è pur sempre una scienza sociale con delle metodologie rigorose. Chiunque pretendesse di fare delle analisi economiche - facendo una battuta ovviamente – guardando nelle viscere degli animali come un aruspice dell’antica Roma, violerebbe tale rigorosità.

Quindi nei limiti di quella che è una metodologia accettata, di una ricerca logica e falsificabile, naturalmente le scienze sociali devono essere molto più aperte a contributi ed ad approcci diversi di quanto debbano esserlo le hard sciences.

Tra l’altro questa protesta, ha ricevuto il supporto di nomi del calibro di Fitoussi, e dal più recentemente noto, Thomas Piketty. Ha avuto modo di leggere il suo “Il Capitale nel XXI secolo”?

Ho letto un po’ di estratti, e molte recensioni articolate. Ho visto che, come accade spesso nelle scienze sociali, le metodologie adottate da Pikketty non sono accettate da tutti, gli si contestano molti dei dati utilizzati, così come la scansione temporale dell’analisi. Credo che le ricette fornite da Piketty siano comunque sbagliate. Tali misure, invece di diminuire la disuguaglianza ci condurrebbero ad un’uguaglianza della povertà.

Non c’è condizione più diseguale di quella della tirannia della burocrazia, in cui lo stato ha una mano preponderante. Nessuno era più diseguale degli alti burocrati sovietici rispetto al cittadino normale. Questo concetto della disuguaglianza concentrato sul capitale, piuttosto che sul reddito, o sulla posizione sociale (il generale dell’Armata Rossa in Cina magari ha meno soldi di un industrialotto lombardo, ma insomma…) è, a mio avviso, una concezione già di per se fallace.

Ogni ricetta proposta da Piketty mi sembra che non solo non risolverebbe il problema della disuguaglianza, ma aggraverebbe maggiormente il problema della crescita, che in questo momento è la vera sfida.