Bocciato il referendum per l’introduzione del salario minimo più alto al mondo. La popolazione elvetica, con il 76,5% di voti contrari, respinge il testo d’iniziativa popolare “Per la protezione di salari equi” che avrebbe assicurato la stipulazione di contratti collettivi di lavoro e uno stipendio minimo nazionale di 22 franchi l’ora (circa 18 euro), per una remunerazione mensile complessiva di 4000 ‘invidiabilissimi’ franchi (quasi 3,300 euro).
La Svizzera, rimane quindi uno tra i Paesi più ricchi, ma anche più cari al mondo, in cui non esiste un salario minimo nazionale, e le retribuzioni sono individualmente o collettivamente negoziate tra le parti sociali. Il risultato della votazione, se da una parte rappresenta una “chiara sconfitta” degli intenti dell’Unione Sindacale Svizzera (USS), per la quale il fatto che “quasi un lavoratore su dieci guadagni meno di 22 franchi all’ora” è “una vergogna ed è indegno di un Paese ricco come la Svizzera”, dall’altra è motivo di giubilo per il governo, gli imprenditori e le formazioni politiche della destra che avevano, sin dalla sua formulazione, osteggiato il provvedimento.
Il ministro dell’Economia, Johann Schneider-Ammann, aveva previamente avvertito che un esito positivo del referendum avrebbe avuto effetti catastrofici sui posti di lavoro, in particolar modo su quelli meno qualificati e localizzati nelle zone periferiche, aggiungendo che “il lavoro è il miglior antidoto alla povertà”. Allo stesso modo altri esponenti del governo della Confederazione, mettevano in guardia sui rischi economici di tale misura, paragonandone la mole rispetto agli esperimenti più moderati sul “salario minimo” previsti in Francia (9 euro l’ora), Germania (8,5 euro) e Stati Uniti (10,10 dollari).
Interessando circa 330.000 posti di lavoro (circa il 9% del totale), “un salario minimo di 22 franchi, molto più alto rispetto a quello di altri Paesi, rischia di provocare la scomparsa dei posti di lavoro il cui salario è inferiore a tale cifra” hanno aggiunto. Confermato anche da Stefano Modenini, direttore di Aiti (Associazione Industrie Ticinesi), il rischio delocalizzazione: “Il sì avrebbe danneggiato i frontalieri italiani. Se la misura fosse passata qui in Svizzera sarebbero saltati i posti di lavoro, soprattutto degli italiani frontalieri, e qualche imprenditore avrebbe potuto anche decidere di delocalizzare in Italia”.
Dopotutto non è la prima volta che gli elettori svizzeri ci sorprendono con le proprie scelte. Già nel Marzo 2013, avevamo assistito all’approvazione del referendum contro le paghe esorbitanti dei manager. I casi, come faceva notare da M. Gramellini ieri sera a Che Tempo Che fa, sono due. “O gli svizzeri hanno un senso civico mostruoso, e quindi si rendono conto che un salario minimo così alto danneggerebbe l’economia nazionale spingendo molti imprenditori a delocalizzare nei paesi in via di sviluppo (per esempio l’italia), o dato che nessuno vota contro i propri interessi, l’80 percento degli svizzeri guadagna già più di 3300 euro al mese”. Senso di Responsabilità o solo Benessere?