La comunicazione one-way che ci aggrediva mentre eravamo passivi, sprofondati sui divani, è ormai cosa vecchia. Quando si va su Internet si scopre che il mondo pulsa e reagisce, e che non a tutti basta stare dietro a degli schermi e ascoltare “opinionisti” di politica e cucina. Basti pensare alla “primavera araba”, gli scioperi di massa in Corea del Sud contro i piani di privatizzazione imposti dallo Stato, le proteste in Brasile contro gli investimenti esagerati per i Mondiali di calcio a scapito delle spese per la sanità, la reazione del popolo australiano contro gli attacchi alle persone che cercavano asilo a Manus Island, la manifestazione francese di Nantes contro la costruzione del nuovo aeroporto Our Lady, le proteste bosniache a Mostar contro un governo nazionalista inefficiente e corrotto, l’agitazione russa contro la condanna di 8 contestatori del presidente Putin: le grande istituzioni stanno scomode. È sempre più evidente la tendenza verso un nuovo modello di organizzazione sociale, più vicino alle persone.
Un caso particolarmente interessante, che permette di leggere e comprendere un evidente filo comune ai vari fenomeni descritti, è quello turco: l’accesso a Internet in Turchia è già molto ristretto e migliaia di siti web sono bloccati. L’agenzia di stampa indipendente Bianet stima che, solo nel 2011, sono stati bloccati 110.000 siti web, mentre Google ha riferito che le richieste turche per rimuovere i contenuti dal web è aumentato di circa il 1000% l’anno scorso.