Paradigmatico il caso del latte. Penalizzate le imprese che comprano latte italiano e che pagano l’IVA subito e se la vedono rimborsata con notevole ritardo rispetto a chi compra latte europeo, su cui l’IVA viene compensata immediatamente. A cui si aggiunge l’aumento del prezzo del latte, il più alto di sempre a 51,30 centesimi il litro alla borsa di Lodi per latte in cisterna franco arrivo, con un +22% su base annua: prezzo alto causato dalla scarsità di offerta nei principali Paesi produttori che ha condizionato le importazioni in Italia, dove la produzione è in calo; prezzo ben superiore ai 42 centesimi fissati nell’accordo per consegna agosto 2013-gennaio 2014 firmato fra Confagricoltura, Cia Lombardia e Italatte, operatori rilevanti sul mercato; i costi di produzione sono indicati in 47-48 centesimi al litro dai produttori. In queste condizioni, le imprese di trasformazione soffrono, anche sui mercati esteri dove il prezzo del formaggio italiano al chilo è in calo da 6,7 euro a 6,3 euro nonostante una crescita dei volumi.
Analoghe considerazioni possono essere fatte per altri comparti alimentari, come pasta e suoi derivati. La situazione ha anche impatti sulle leve del marketing: diminuisce la pubblicità delle marche (meno campagne, meno soldi spesi) a favore di scontistica (“trade spending”) per tenere la merce sullo scaffale e venderla a prezzi sempre inferiori nella GDO. Anche per la pubblicità i volumi sono in crollo, con una stima di 8-10 miliardi per quello che si chiama “calmieramento dei prezzi” messo in atto dall’industria di marca (meno spese di pubblicità, margini all’osso, prezzi tenuti artificialmente bassi pur di far lavorare le fabbriche di produzione ed impacchettamento).