Il “caso Stamina” rappresenta un esempio di come lo stato si muove su 2 terreni essenziali: salute e diritto. La commissione scientifica istituita dal Ministero della Salute, sulla base del decreto-Balduzzi che ne ha imposto la sperimentazione, dopo un anno ha concluso che i trattamenti proposti dalla fondazione Stamina non sono plausibili e sperimentabili, come già accertato dai Nas dall’Aifa nel maggio 2012, e che il c.d. “protocollo Vannoni” non riveste carattere di adeguatezza medica e scientifica per la cura di malattie varie, incluse quelle neuro-degenerative. Le massime autorità sanitarie si sono mosse in modo incauto, tardivo, contrastante: specchio della nebulosità imperante in molti, troppi campi nazionali. Sul piano del diritto, la vicenda ha mostrato la debolezza del Titolo V della Costituzione nella forma riformata: come immaginare una sanità in cui i farmaci vengono approvati e regolati a livello regionale? Le regioni Sicilia ed Abruzzo erano pronte a sostenere la c.d. sperimentazione di un metodo poi dichiarato fallace, con la conseguenza di trasferire alle strutture sanitarie regionali il carico economico di una “non-terapia”, sottraendola al controllo nazionale. Una stima, seppure di massima ed a livello nazionale, ha indicato in 3.750.000 euro il costo dell’intera profilassi per un ciclo completo di trattamento (al costo unitario di 30.000 euro a coltura delle cellule mesenchimali, per i 25.000 soggetti in attesa a suo tempo indicati dalla fondazione Stamina). L’accesso alla salute universale merita un approccio meno “raffazzonato” da parte di medici, scienziati, magistrati, amministratori pubblici.
Una Tazzina di Caffè con Stamina
