Altro che rosicchiare il cappuccio della penna per nervosismo. Se László Biró avesse potuto vedere farsi realtà il (già immaginato) successo della propria invenzione, si sarebbe sgranocchiato lo strumento da scrittura intero.
Giornalista ungherese di origini ebraiche, László Biró ebbe la brillante idea di creare un nuovo dispositivo ispirandosi ad un fatto elementare e infantile. Il problema, del resto era noto a chiunque. La scrittura toccava proprio a tutti e nei primi anni del ‘900 non erano molti gli strumenti a disposizione. Le macchine da scrivere non esistevano ancora e solo in pochi potevano permettersi una stilografica. La maggior parte delle persone utilizzava pennini di ferro, poco flessibili e scomodi, ma soprattutto per nulla d’aiuto. Con un sistema di scrittura precario come quello del pennino, infatti, macchiarsi era una certezza. Non solo: l’inchiostro liquido, per sua natura gocciola e lascia sbavature; motivo per il quale, spesso, si verificava la terribile e frustrante azione – per chi aveva a che fare quotidianamente con arnesi di questo tipo – di cestinare un documento per una sbavatura e ricominciare da capo. E il buon Biró la sapeva lunga, lui che a scrivere ci passava tutta la giornata.
Percorrendo il tratto di strada che separava casa sua dalla redazione del giornale per cui scriveva, un giorno Biró, si imbatte in una scena che lo folgorò e lo ispirò nel profondo. Alcuni bambini giocavano con delle biglie in mezzo ad un viale; le piccole sfere, dopo essere finite in una pozzanghera, rotolando si lasciarono dietro una traccia di bagnato. A dirla tutta, però, Birò la prima intuizione la ebbe quando, in una tipografia di Budapest, osservò l’inchiostro di giornale, che si asciugava una manciata di secondi dopo che il foglio era stato stampato. Il mix di esperienze diede i suoi frutti e László Biró ideò e partorì la sua creatura.
Sviluppando un inchiostro ad hoc con una viscosità che gli permettesse di scorrere dalla cannuccia alla sfera (progetto che sviluppò con il fratello Georg, chimico) e scrivere senza lasciare grumi sul foglio, Biró perfezionò la propria invenzione. Con l’avvento della seconda Guerra Mondiale e delle persecuzioni, la famiglia Biró si trasferì a Parigi prima e in Argentina poi. Il 15 giugno del 1938, il giornalista ungherese brevettò la propria invenzione, chiamandola Stratopen. Nello stesso anno, il Wall Street Journal riportò: “Una semplice ma straordinaria invenzione è entrata in un mondo che sta per essere sconvolto dalla morte e distruzione”. Tuttavia l’idea non riuscì ad andare in porto: il sistema dell’inchiostro a caduta non era dei migliori. Birò si ingegnò nuovamente e risolse la scaramuccia: quindi ricevette un cospicuo ordine (300.000 penne a sfera) da parte della Royal Air Force, per permettere ai propri piloti di scrivere in alta quota.
A Torino, nel frattempo, un tale Marcel Bic, barone di origini valdaostane, iniziava la sua attività di imprenditore nel settore delle stilografiche. Proprio in quegli anni Bic stava pensando a strumenti da scrittura più pratici ed economici e scoprì la geniale trovata di Birò; decise di acquistare il brevetto per ben 2 milioni di dollari. La penna fu commercializzata in Europa e oltreoceano. Facilità di utilizzo ed economicità fecero della penna a sfera un vero e proprio mito (Bic, tra l’altro, sviluppò in seguito anche un rasoio usa e getta e un accendino di plastica). In origine, la penna aveva un costo non indifferente: quasi 27 sterline odierne.
Dal 1950, Bic ha venduto più di 100 miliardi di penne nel mondo e dispone di ben 24 fabbriche. La biro ha cambiato le sue sembianze – un corpo esagonale contiene un piccolo foro, che garantisce la circolazione dell’aria all’interno dello strumento, favorendo la corretta scorrevolezza della sfera – e i prezzi si sono radicalmente abbassati: la penna Bic è alla portata di tutti. L’astronauta Pedro Duque, durante una missione a bordo della navicella Sojuz TMA-2, mentre scriveva nello spazio con una biro, riportò in una registrazione:”Si può proprio dire che la penna a sfera sia un’invenzione spaziale“. Biró (che morì a Buenos Aires, nella quasi totale povertà), sarebbe fiero del proprio successo.