Il cantante Bobby McFerrin all’evento “Note e Neuroni: alla ricerca del coro comune” del World Science Festival dimostra il potere della scala pentatonica, “usando” come uno strumento il pubblico in sala. Bobby è l’autore della celeberrima “Don’t worry, be happy” ma non si può definire un semplice cantante, ma un improvvisatore vocale, direttore d’orchestra, appassionato portavoce della cultura musicale e possiede l’orecchio assoluto e un’estensione vocale di 4 ottave.
Gli scienziati al convegno si ponevano queste domande: la gente intende istintivamente lo schema dei suoni della scala pentatonica? Le scale pentatoniche sono molto comuni in quasi tutte le culture musicali, dalla musica folk (musica celtica, ungherese, albanese, il gamelan indonesiano o i canti andini) fino alla musica africana e ai suoi derivati afro-americani come lo spiritual, il jazz, il blues ed il rock. Anche nella musica classica la scala pentatonica è stata ampiamente utilizzata, ad esempio in numerose composizioni di Debussy. Le pentatoniche sono caratterizzate dalla mancanza di intervalli di semitono e dal fatto che ciascuna delle 5 note può essere nota finale (e tonica). È stata usata anche da alcune metodologie educative, come ad esempio la Orff Schulwerk, ideata da Carl Orff (l’autore dei Carmina Burana) che enfatizza l’improvvisazione musicale, più semplice con le scale pentatoniche. Anche per Zoltán Kodály le pentatoniche sono molto utili prime fasi di apprendimento, perché «più consone alla sensibilità dei bambini» poiché «l’intonazione di queste melodie viene realizzata con facilità e sicurezza proprio a causa dell’assenza dei semitoni».
C’è quindi un livello-base della nostra naturale musicale che ci permette di intendere al volo delle note? Non conosciamo ancora molto delle potenzialità “musicali” del cervello umano, ma a queste domande Bobby prova a dare una dimostrazione pratica; il risultato è strabiliante!