“Questo terrorismo di massa è la nuova minaccia nel nostro mondo. È perpetrato da fanatici che sono improvvisamente indifferenti alla sacralità della vita umana” . Con queste parole dell’ormai ex primo ministro britannico Tony Blair, potrebbe riassumersi l’essenza del nuovo terrorismo islamico, che negli ultimi mesi sta spargendo sangue e paura in tutto il mondo.
E’ ormai un dato di fatto, e le quotidiane notizie di attentati lo dimostrano, che il Califfato dello Stato Islamico abbia ottenuto, nell’anno appena trascorso, una diffusione capillare non soltanto all’interno di quei territori nei quali il movimento stesso è sorto, ma anche in territori che non sembravano essere facilmente accessibili. E’ la storia a insegnarci come le situazioni di instabilità politica ed economica non facciano altro che agevolare l’insediamento di gruppi estremisti compatti come l’IS. L’attuazione di una vera e propria “strategia del terrore” ha portato quest’ultimo ad essere oggi presente su un territorio complessivamente grande quanto l’Italia (se non di più).
Sono state occupate, infatti, metà della Siria, parte dell’Iraq, della Libia e, alla luce dei recenti attentati che hanno colpito il nord Africa, si temono offensive molto più pesanti anche in Tunisia. Proprio in territorio Siriano, il Califfato controlla le terre adiacenti Aleppo e sta pianificando un deciso attacco alla “capitale del Nord”; qualora ciò non fosse sufficiente, stando ai pareri di esperti della materia, l’ISIS starebbe per colpire nuovamente Damasco, capitale della Siria, con il serio rischio di una resa di quest’ultima all’ennesima offensiva dello stato islamico.
In Iraq l’esercito nero ha conquistato Ramadi e, con questa, la diga dalla quale attingeva non soltanto la città stessa ma anche la capitale Baghdad, obiettivo ormai consolidato e ora sempre più vicino (seppur ugualmente difficile da raggiungere nel breve periodo). Tagliando le risorse acquifere, sarà più semplice mettere in ginocchio la popolazione, spingendola all’esodo, facilitando in questo modo la presa della città. Quelli libico e tunisino sono, nell’ordine, gli ultimi due territori ad avere fatto gola al Califfato e ad essere diventati, più il primo che il secondo, già vittime delle mire espansionistiche di questo.
Altre cellule del Califfato sono sparse in zone del Medio-Oriente e in territorio africano. Un esempio lampante sono le truppe di Boko Haram in Nigeria, dichiaratamente alleate dell’ISIS.
Quel che preoccupa ancora di più è il “fascino” che il nuovo Stato Islamico scaturisce anche in territori apparentemente più stabili e occidentalizzati rispetto a quelli nei quali il Califfato opera attualmente. E’ il caso della Turchia, recentemente accusata di aiutare l’espansionismo jihadista, non avendo ancora assunto posizioni chiare ed avverse al Califfato, e avallando un generalizzato laissez faire.
Di recente sono stati i Balcani, in modo particolare Albania, Bosnia e Serbia, ad essere state invitate ad unirsi alla causa dello stato islamico. Sui siti web albanesi girano ormai da mesi video registrati aventi ad oggetto l’addestramento di attivisti legati all’ISIS.
Alla luce di tutto ciò, pare corretto chiedersi: per quanto tempo ancora l’Occidente resterà a guardare? Perché si stanno sottovalutando in questo modo le mire espansionistiche dello Stato Islamico? C’è chi afferma si tratti, in realtà, di una strategia politica e militare. Staremo a vedere.