Il cambiamento spaventa, rompe la routine. La normalità e le abitudini devono cambiare, ma il cervello umano non è incline ad accettarlo, soprattutto perché è “programmato” per accumulare informazioni, non per resettarsi.
Dan Ariely, autore di Predictability Irrational e professore di psicologia e comportamenti economici alla Duke University, afferma:
Allora come introdurre una modifica nella società attuale? Partiamo dall’ambiente. È prevalentemente digitale. Perciò è necessario capire come la tecnologia possa intervenire, come possa creare un cambiamento positivo nell’individuo e nella comunità.
In secondo luogo analizziamo l’uomo. Come afferma Robert B. Cialdini, psicologo e professore di marketing all’Arizona State University, esistono due modelli decisionali. Il primo analizza tutte le informazioni disponibili prima di pervenire a una decisione; il secondo si serve di scorciatoie mentali che, oltre a causare la formazione di pregiudizi, è l’antecedente del pensiero semplificato.

È proprio su questo che sta lavorando la Fondazione Ariely in collaborazione con Chris Ferguson, CEO dell’azienda di design Bridgeable. Il progetto ha l’obiettivo di creare un’app che spieghi il processo decisionale degli esseri umani. Si concentrano su sei scorciatoie mentali volte a produrre un cambiamento partendo dall’ambiente esterno.
Default bias (pregiudizio del fallimento)
Si sceglie automaticamente l’opzione più facile. Di conseguenza, tutto ciò che viene scelto o fatto di default, vince.
L’esempio più lampante viene dalle ricerche di Eric J. Johnson, professore di marketing alla Columbia University, e Daniel G. Goldstein, psicologo statunitense. Nel 2003 hanno studiato i tassi di donazione degli organi e hanno scoperto che in Ungheria e Danimarca vi erano forti disparità. Nel primo caso, il tasso di donazione era 99,997%, nel secondo 4,25%. Il motivo? I cittadini ungheresi sono obbligati a donare a meno che non dichiarino esplicitamente di non voler aderire; in Danimarca vale l’esatto opposto.
A questo punto, Ariely e Ferguson si chiedono “Come si rende automatica un’opzione? Cosa si può fare per far diventare automatica la scelta “giusta?”
Friction costs (costi di attrito)
Tendenzialmente le persone sono restie ad agire. Preferiscono l’inerzia, aspettare che cambi qualcosa. I friction costs si riferiscono agli ostacoli o alle difficoltà percepite che complicano l’azione. La riduzione di questi costi è il nuovo obiettivo dei giganti dell’e-commerce, come Amazon, che hanno costruito un impero sull’acquisto con un semplice click.
Questo vale anche per le relazioni interpersonali. Una delle ragioni che spinge le persone a coltivare relazioni insoddisfacenti è il bilancio fra il costo della rottura del rapporto e quello delle liti. Nonostante quest’ultimo si accumuli nel tempo, l’essere umano è portato a considerarlo minore rispetto alla rottura: perciò sceglie la strada dell’inerzia.
Perciò, l’app di Ariely e Ferguson prende ispirazione dalle parole di Nir Eyal, scrittore e designer comportamentale:
Anchoring (ancoraggio)
Si possono aprire dibattiti leggendari, ma resta il fatto che l’abito fa il monaco. Inevitabilmente, la prima impressione influisce sulla formazione delle opinioni personali.
Nel processo decisionale, la prima impressione non solo è l’informazione più influente, ma è anche il principio su cui si basa l’intero processo, il quadro di riferimento.
Quindi, premesso che rinunciare all’ancoraggio è molto complicato, Ariely e Ferguson si chiedono “Le persone cosa vedono per primo? Come si può gestire la prima impressione in una riunione, in una mail o in un’app per strutturare il processo decisionale?”
Pre-commitment (pre-dedizione)
La coerenza è una forza potente: malgrado il cambiamento sia difficile, proviene dal desiderio intrinseco di proteggere l’ego e semplificare il processo decisionale.
Negli Anni ‘60, due psicologi hanno chiesto ai residenti californiani di erigere un tabellone per le affissioni di servizio pubblico sui loro prati inglesi con la scritta “Guida con prudenza”. Dopo esser stati rifiutati dall’83% degli abitanti, hanno scoperto che la settimana precedente un’altra organizzazione aveva chiesto di affiggere un discreto adesivo “Sii un guidatore prudente” alla finestra.
Dunque, garantire impegni piccoli e volontari è la chiave per un cambiamento durevole e su larga scala.
Present bias (pregiudizio del presente)
L’essere umano è geneticamente miope: vive nel presente, non vede più in là del suo naso.
La paura per il futuro o per la perdita non sono sufficientemente efficaci a ostacolare il naturale difetto dell’uomo: non saper progettare il presente in funzione del futuro. La conversione di flussi futuri positivi in flussi negativi presenti è una strada per trasferire l’inevitabile futuro hic et nunc, qui e ora.
Un’altra soluzione è chiedersi, come fanno Ariely e Ferguson, “Quale inferno si può risparmiare alle persone con il cambiamento? E in quale paradiso verranno condotte dopo il miglioramento?”.
Social proof (prova sociale)
Stiamo per prendere una decisione. Stiamo arrivando a una soluzione. Inevitabilmente, chiediamo consigli ad altre persone, andiamo a guardare cosa fanno e cerchiamo di imitarle.
La Yale University, grazie a questa leva, ha scoperto come ridurre l’ammontare di bottigliette d’acqua consumate: per ridurre l’impatto ambientale, è necessario trovare la prova sociale che qualcuno abbia già iniziato a comportarsi in maniera ecosostenibile.
Tutto ciò si traduce in “Come incoraggiare gli influencer a condividere le loro azioni e il loro impegno?”
Le conseguenze delle scoperte di Ariely e Ferguson si diramano in due direzioni.
Dal punto di vista personale, il successo o il fallimento dipende da fattori esterni. Il cambiamento durevole non riguarda tanto la forza d’animo quanto organizzare il mondo con cui interagiamo per incoraggiare o inibire il comportamento umano. Sul fronte professionale, prodotti e servizi devono convergere tutti nella stessa direzione, partire dalle stesse considerazioni fatte per la vita privata.
Quindi, la tecnologia può veramente influire sul nostro processo decisionale. Creare un’app che possa cambiare il comportamento umano è possibile. Come direbbe Nir Eyal: