Covid19, la crisi spinge i minibond

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Se per l’industria dei minibond il 2019 era stato “l’anno dei record”, la crisi economica causata dall’epidemia di Covid19 si è rivelata un ulteriore impulso alla crescita: il blocco delle attività produttive, che ha messo in seria difficoltà molte imprese, ha invece favorito i minibond, che si sono dimostrati una provvista di liquidità immediata.
Secondo un’indagine condotta su 22 importanti “arranger” (cioè le società finanziarie che supportano le emittenti nel collocamento dei minibond), nel primo semestre 2020 sono state ben 86 le emissioni collocate, contro le 50 dello stesso periodo del 2019, con una crescita del 72%. Anche il controvalore è aumentato, benché non con la stessa intensità: 270,55 milioni di euro contro 220,8, cioè il 22% in più. Lo segnala l’Osservatorio Minibond della School of Management del Politecnico di Milano, che nei giorni scorsi ha organizzato un convegno online per ragionare con numerosi operatori del settore su quali siano le prospettive per il futuro, sia le minacce che, soprattutto, le opportunità.

“La necessità impellente di liquidità ha spinto numerose imprese, che non hanno trovato risposte veloci da parte delle banche, a esplorare nuovi percorsi di finanza alternativa, fra cui i minibond, che sono titoli eleggibili per accedere alla garanzia statale – commenta Giancarlo Giudici, Responsabile dell’Osservatorio Minibond -. Stanno avendo un buon successo anche le operazioni di sistema, come i basket-bond e i pluri-bond, che raggruppano più emittenti. La nuova opportunità di collocare i titoli emessi dalle SpA sui portali di crowdfunding ha consentito poi un’ulteriore accelerazione del mercato”.

I minibond – titoli di debito emessi da società italiane non finanziarie (società di capitale o cooperative) di importo inferiore a 50 milioni di euro, non quotati su listini aperti agli investitori retail – si confermano dunque una fonte di finanziamento in continua crescita, alternativa e complementare al credito bancario. Già il 6° Report italiano, pubblicato dall’Osservatorio a fine febbraio, aveva disegnato uno scenario assai florido relativo al 2019: quattro i record raggiunti lo scorso anno, legati al numero di emissioni (207, +24,7% sul 2018), di società emittenti (183, di cui 129 per la prima volta) e al flusso di raccolta (1,18 miliardi di euro, +21,1%). Questo nonostante la raccolta delle PMI fosse passata da 379 a 344 milioni e il valore medio delle emissioni fosse sceso al minimo tendenziale storico, 4,68 milioni nel secondo semestre.

In totale, da novembre 2012 al 31 dicembre 2019 sono state 536 le imprese italiane che hanno collocato minibond, tra cui 314 PMI (il 58,6%). L’anno 2019 ha contribuito al totale con 183 emittenti, di cui il 69,4% SpA, il 28,4% Srl e il 2,2% società cooperative, percentuali stabili rispetto al 2018. Il volume dei ricavi invece è molto variabile: 54 emittenti (29,5%) fatturavano meno di 10 milioni di euro prima del collocamento. Circa il settore di attività, si confermava la netta supremazia del comparto manifatturiero (44,3% del campione).

Sempre relativamente al 2019, la collocazione geografica ha continuato a evidenziare una netta prevalenza delle regioni del Nord: in testa la Lombardia con 41 emittenti (il 22,4% su scala nazionale), in crescita il Veneto e il Trentino-Alto Adige, grazie ad alcune operazioni di sistema come i Trentino Bond e i Pluri Bond Turismo Veneto Spiagge, e anche le regioni di Sud. Quanto alle motivazioni del collocamento, al primo posto ancora l’obiettivo di finanziare la crescita interna dell’azienda (62,1%) e di ristrutturare le passività finanziarie (12,7%), di seguito il bisogno di alimentare il ciclo di cassa del capitale circolante (PMI) e le strategie di crescita esterna tramite acquisizioni (grandi imprese).

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