Donatella Di Pietrantonio è figlia della provincia e dei boschi. Suo padre Sabatino avrebbe voluto un maschio. Nell’Abruzzo degli anni ‘60 le donne lavoravano nei campi fino a tarda sera, anche sua madre lavorava, e quel senso di attesa diventa motivo di urgenza narrativa. A scuola era la più brava, amava leggere e non posava i libri neanche per pranzare. Infatti, non rinuncia alla scrittura nemmeno quando da dentista pediatrica i suoi impegni riempiono tutta la giornata. Nasce così, con le prime luci dell’alba, “L’Arminuta” romanzo che segna il suo ingresso in casa Einaudi e le permette di portare nel comune di Penne, lo stesso che l’ha vista lanciarsi al mondo, il Premio Campiello 2017. “Siamo tutti vittime dell’abbandono nella vita, questa parola così ricorrente, tale tematica mi ha sempre toccata, è il filo narrativo che accomuna i miei romanzi”, racconta con fare pacato e confidenziale la nostra autrice. L’Associazione Bocconi d’Inchiostro, presso la medesima università, ha fortemente voluto una sua testimonianza per regalare ai ragazzi, ancora una volta, un esempio di come il faticoso ma ineguagliabile dono dell’apprendere può regalare importanti emozioni.
“Mia madre è un fiume” è il suo primo romanzo, come nasce e in che momento della sua vita?
Ho sempre scritto sin da bambina poesie, racconti brevi, poi ad un certo punto un racconto molto legato alla mia vita si è disteso in un formato romanzo. In quell’occasione sono stata tentata dall’avventura di entrare nel mondo editoriale sebbene fino a poco prima avevo sempre tenuto per me i miei testi. Ho voluto provare. Considero la scrittura come un’urgenza, mi accompagna da sempre, non ne ho mai fatto a meno anche quando non immaginavo di pubblicare.
Lei è anche una dentista di professione. Come riesce a conciliare i suoi impegni con la scrittura?
Sicuramente adesso è diventato un po’ più difficile, ho ridotto i tempi della libera professione e dedico più tempo alla scrittura o comunque ad accompagnare questi libri negli incontri con i lettori, nelle presentazioni, festival e quant’altro.
Quanto la sua scrittura è influenzata dalla sua terra, l’Abruzzo, in cui ha scelto di restare?
La mia terra è sempre un’ambientazione presente, molto forte, e in qualche modo l’appartenenza territoriale mi influenza dal punto di vista linguistico, questa lingua così scarna viene da lì, da questo territorio dell’Abruzzo interno, roccioso, dove anche le persone sono di poche parole ma molto autentiche”
L’Arminuta è tra i capolavori più letti. Quanto c’è di autobiografico o di semplicemente biografico in questo romanzo?
Di autobiografico direi tutto e niente, perché nella mia vita niente si accomuna alla trama del romanzo e poi invece tutto perché il vissuto dell’abbandono, che è uno dei temi più importanti del libro, mi appartiene ma credo appartenga a tutti anche senza aver vissuto le vicende della protagonista. Ognuno prima o poi viene a vivere quell’esperienza drammatica di sentirsi abbandonato e solo.