Può risultare per certi versi sorprendente lo sviluppo e la diffusione dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), che nel 1994 ha preso le armi nel Chiapas, Stato del Messico meridionale, dando inizio ad una lotta armata contro lo Stato messicano che si sarebbe conclusa, perlomeno de jure, nel 2000, anno in cui l’EZLN si trasformò in un movimento politico. Sorprendente perché negli anni ’90 sembrava ormai volgere al termine anche in America Latina la stagione dei movimenti guerriglieri, con il declino di Sendero Luminoso in Perù e la limitazione delle azioni delle FARC in Colombia, e perché le sorti economiche del Messico sembravano ormai volgersi al meglio, con la crescita del PIL avvenuta durante la presidenza di Carlos Salinas de Gortari, autore di riforme di carattere neoliberista tra le quali spicca la ratifica dell’accordo di libero scambio con gli Stati Uniti (NAFTA). Era insomma impensabile che un paese in via di sviluppo ritenuto fiore all’occhiello dal Fondo Monetario Internazionale vedesse scoppiare sul proprio suolo una guerra di guerriglia che mostrasse quanto profondo fosse il disagio di parte della popolazione.
La natura dello Stato in cui ebbe modo di svilupparsi la sollevazione zapatista del 1994 spiega in parte i motivi che portarono alla insurrezione: il Chiapas negli anni ’90 era un’area prevalentemente rurale confinante a sud con il Guatemala, popolata in buona parte da gruppi indigeni appartenenti al ceppo etno-linguistico maya, e in cui il 60% della popolazione aveva uno stipendio inferiore al salario minimo e il 50% era sottonutrito. Era in questo Stato poverissimo che nel 1983 un gruppo di militanti dell’organizzazione militare di stampo marxista denominata Fuerzas de Liberación Nacional si era trasferito, nella speranza di essere la scintilla che avrebbe dato inizio al fuoco guerrigliero di guevarista memoria, sull’esempio di quei sandinisti che avevano da poco trionfato in Nicaragua. Accadde però che invece di convertire gli indios dello Stato al marxismo-leninismo, furono gli indios a convertire questi guerriglieri comunisti al desiderio di giustizia e autodeterminazione che i discendenti dei maya si vedevano negato da secoli, desiderio che si esprimeva in rivendicazioni e lotte che andavano oltre quelli proposti dalle guerriglie marxiste latinoamericane. Fu da questa fusione ideale che nacque l’EZLN.
In questo contesto l’1 gennaio del 1994 migliaia di indios dal volto coperto col passamontagna e armati in modo approssimativo occupavano sette centri abitati del Chiapas, lanciando al mondo il loro messaggio che proponeva la creazione di una società diversa, la necessità di rifondare la politica e di partorire un mondo in cui il sistema economico vigente non provocasse la perenne esclusione di parte della popolazione mondiale. I servizi segreti messicani erano a conoscenza dei preparativi di una rivolta nel Messico sud-occidentale, ma non riuscirono a prevederne né le dimensioni, né tantomeno l’efficacia. Inoltre, in un’epoca in cui la Guerra Fredda era finita e in cui in buona parte dell’America Latina si facevano pressioni perché i militari venissero chiamati al banco degli imputati a rispondere dei crimini commessi durante il loro governo, era impensabile per lo Stato messicano una reazione di forza che avrebbe inevitabilmente comportato violenze ed eccessi inaccettabili per l’opinione pubblica mondiale. Le rivendicazioni del movimento zapatista vennero formulate nella Prima dichiarazione della selva Lacandona, nella quale veniva preteso il diritto alla sanità, all’istruzione, alla casa, alla giustizia e alla democrazia, oltre che all’esistenza delle comunità indigene del Chiapas.
All’indomani di tale dichiarazione ebbero inizio le trattative con il governo messicano, che sfociarono nel 1996 negli accordi di San Andrés, i quali prevedevano che la Costituzione del Messico avrebbe riconosciuto l’autonomia delle popolazioni indie. Negli anni successivi il governo disattese gli accordi, e inviò delle unità paramilitari per far fronte agli zapatisti, col risultato di far sprofondare il Chiapas nella violenza. Anche con la fine dello scontro armato non vennero rispettati i patti stabiliti nel ’96, facendo sì che nel 2003 gli zapatisti procedettero unilateralmente alla formazione di 39 municipi autonomi, detti caracoles, basando il loro potere sul controllo del territorio, sull’amministrazione della giustizia, sul garantire a tutti l’istruzione e l’accesso alle strutture sanitarie. I caracoles sono retti da una giunta denominata Junta del Buen Gobierno, nella quale l’EZLN non ha alcun potere, ma solo il compito di provvedere alla difesa armata dei municipi zapatisti.
Nelle fila dell’EZLN emersero presto figure caratteristiche destinate sia ad avere importanti ruoli di comando, come il subcomandante Marcos e la comandanta Ramona, sia a rappresentare un ruolo iconico per la lotta del movimento zapatista, divenendo veri e propri simboli che presto si diffusero globalmente. Il successo dell’esercito zapatista non è infatti da ascriversi tanto alle sue capacità militari (che difficilmente avrebbero retto in caso di scontro frontale con le forze armate del Messico), ma sulla sua capacità di veicolare il suo messaggio rivoluzionario nel mondo intero attraverso i media e internet, garantendosi una certa notorietà e la solidarietà degli antagonisti di tutto il pianeta.
Negli anni successivi al 2003 l’EZLN piombò in una situazione di isolamento, rotta solamente nel 2006 con la Sesta dichiarazione della selva Lacandona, la quale con il suo celebre slogan “Ya basta!” proponeva agli studenti e al proletariato urbano di unirsi alla sua lotta. Nel medesimo anno il subcomandante Marcos tentò l’avventura politica in occasione delle presidenziali del Messico lanciando La Otra Campaña, indipendente dai partiti e che tentò di unire in un unico fronte i lavoratori urbani, rurali e gli indigeni sotto un programma marcatamente anticapitalista. Nel corso della loro particolare campagna elettorale, gli zapatisti non si limitarono ad attaccare i rappresentanti dei tradizionali partiti PRI e PAN, ma si scagliarono anche contro il candidato della sinistra Andrés López Obrador, mostrando eloquentemente quanto profonda sia la frammentazione che divide le sinistre latinoamericane. Nel complesso, La Otra Campaña non ottenne i risultati sperati, fallendo nel suo tentativo di creare un unico blocco di sinistra radicale che comprendesse gli indios e i lavoratori delle aree urbane. In seguito al fallimento del 2006 l’EZLN iniziò un lento ma inesorabile declino, che lo confinò nelle selve del Chiapas da cui proveniva. Tale fallimento sembra mostrare le contraddizioni interne di un movimento che nacque nella lotta armata ma cercando contemporaneamente il dialogo con le istituzioni, per poi diventare un movimento politico che però proponeva una rivoluzione radicale del sistema vigente.
Nel maggio del 2014 il subcomandante Marcos ha annunciato al mondo la sua rinuncia agli incarichi di comando che fino a quel momento aveva nell’EZLN, cedendo il posto al subcomandante Galeano, il cui nome è un riferimento all’omonimo zapatista assassinato tempo prima. Da allora le azioni degli zapatisti, che già erano in netto calo, si ridussero ulteriormente, limitandosi alle denunce nei confronti delle aggressioni e delle vessazioni che subiscono le popolazioni indigene nel Chiapas, e al controllo dei municipi conquistati nel 2003. Nel dicembre del 2016 82 uomini di scienza hanno partecipato all’incontro organizzato dagli zapatisti a San Cristóbal de Las Casas (centro abitato del Chiapas). Difficile fare previsioni realistiche su quello che sarà il destino di un movimento tanto anomalo, che se da un lato non è riuscito a sfondare sul piano della politica nazionale messicana, dall’altro si è ormai garantito una base di appoggio stabile nel Chiapas, dalla quale è irrealistico pensare di rimuoverlo senza spargimenti di sangue.