Gli Effetti della Brexit: Cosa Succede nel Breve, Medio e Lungo Periodo

Il polverone mediatico sollevatosi intorno alla Brexit fa immaginare che in seguito al dibattuto verdetto la Gran Bretagna pronti-via erga mura difensive, cacci gli stranieri e utilizzi la Manica quale personale fossato da popolare con gli alligatori. In realtà non proprio. Una volta notificata al Consiglio Europeo la sua volontà di recesso, il Regno Unito sarà infatti tenuto al sacrosanto rispetto di tutti i trattati attualmente in vigore con l’Unione Europea per almeno due anni. Un lasso di tempo durante il quale dovrà negoziare con l’Ue i termini della propria dipartita e con tutti gli altri paesi del mondo un intero set di trattati, dando origine a un processo che oltre a non avere precedenti per un paese avanzato potrebbe anche durare una decina d’anni. Cosa accadrà, dunque, in questo arco di tempo? Economisti, docenti e politici italiani si sono spesi prefigurando i più disparati scenari di breve, medio e lungo periodo, che per quanto poco attendibili (data la mancanza di un evento ragionevolmente comparabile) vantano un minimo comun denominatore: sono tragici.

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Nell’immediato, però, non tragicissimi. Soprattutto per l’Italia: al di là della sterlina, su cui si scommette al ribasso già da tempo, e al netto della volatilità dei mercati, che per quanto fossero pronti al peggio hanno scontato il cambio di rotta avvenuto la notte del 23 giugno, non sono molte le aziende italiane quotate che generano ricavi in Uk (Yoox, Leonardo e Prysmian le più esposte con il 13-15% del fatturato). Nel breve periodo saranno blandi anche gli effetti sulle esportazioni oltremanica, che per il 2016 sono previste scendere di 200-500 milioni di euro su un totale di circa 22,5 miliardi (previsione un po’ meno rosea per il 2017, con una contrazione dell’export italiano del 3-7% che si tradurrebbe in minori vendite per 600-1.700 milioni di euro). Entro il prossimo anno e mezzo sarà plausibile inoltre notare una contrazione del Pil: alcune banche (come UniCredit) hanno già rivisto le stime di crescita, portandole da +1,7% al range +0,2-0,7%. Con un prodotto interno lordo minore del previsto, ha poi commentato il ministro dell’economia Padoan, un’altra cosa da rivedere nel breve termine potrebbe essere l’impegno preso con l’Ue a ridurre il nostro debito pubblico, dal 132,7% del Pil nel 2015 al 132,4% previsto, fino all’altroieri, per il 2016.

Con il procedere dell’annoso divorzio, l’efficacia della Brexit inizierebbe poi a farsi sentire un po’ in tutti i settori: gli investimenti, che potrebbero diminuire perché gradualmente deragliati verso altre capitali europee (Parigi e Berlino tra le prime candidate a nuovi poli finanziari d’Europa); la disoccupazione, che aumenterebbe (in Uk dal 5% all’8%, dicono) dato il flusso di lavoratori in ambo i sensi incagliato tra passaporti e permessi di soggiorno; l’istruzione, penalizzata dal no alla dogana che potrebbero ricevere i 27mila studenti europei e i 15mila britannici coinvolti ogni anno nel progetto Erasmus. Un’ulteriore batosta colpirebbe poi l’Ue a livello consolidato: addio Gran Bretagna vuol dire anche addio a 8,64 miliardi all’anno nelle casse di Bruxelles, che a rigor di logica dovrebbero essere compensati dagli altri paesi membri (secondo uno studio dell’istituto tedesco Bertelsmann Stiftung, la quota corrisposta dall’Italia aumenterebbe di 1,38 miliardi).

Protestors Attend Anti-Brexit Rallys Across The UK

Ampliando l’orizzonte dal breve al medio periodo, il principale pericolo non sembra però essere di natura economica: tra i più forti timori di politici ed economisti figura infatti il cosiddetto “rischio emulativo”. Dall’euro-scetticismo della Lega in Italia e dei lepenisti in Francia passando per lo snobbismo atavico dei paesi nordici, la Brexit rischia di diventare un precedente capace di solleticare le più oscure fantasie referendarie dei partiti antieuropei. Fantasie, peraltro, piuttosto concrete: secondo un recente sondaggio, il 48% dei francesi sarebbe favorevole all’uscita dall’Ue, seguito dal 46% degli italiani, dal 38% dei tedeschi e dal 26% dei più fiduciosi spagnoli.

Una volta che la Gran Bretagna si sarà assestata su un modello a scelta tra quello norvegese (libera circolazione e accesso ai fondi Ue per la ricerca ma esclusione dal processo legislativo), svizzero (semplici accordi bilaterali con l’Unione ma senza partecipazione allo Spazio Economico Europeo), canadese (accordi unicamente commerciali su dazi e prodotti, da rinegoziare uno per uno con oltre 100) o totalmente diverso da tutti e tre (che forse le conviene), in Europa inizieranno a palesarsi gli effetti di lungo periodo. Che sono indefiniti e indefinibili, ma sui quali si può, se non altro, partorire qualche osservazione. La certezza è che, come avviene in ogni squadra di calcetto in età prepuberale che si rispetti, se buchi il pallone gli altri non ti fanno più giocare. Il Regno Unito sarà infatti escluso dalla Commissione, dal Consiglio e dal Parlamento europei, così come dalle autorità di vigilanza (Eba, Esma, Eiopa) e da ogni processo decisionale riguardante qualsivoglia manovra finanziaria.

Giusto. Ma insidioso, dato che così facendo si vanno ad alterare i già fragili equilibri tra paesi membri. La presenza della Gran Bretagna ai consessi europei ha infatti sempre permesso di bilanciare l’oggettivo strapotere tedesco al tavolo delle trattative, i cui esiti rischiano di diventare sempre più germanocentrici ora che la paladina del liberalismo (economico e non) è fuori dai giochi. Non solo: con Londra se ne va una delle poche capitali di respiro internazionale, capace di dialogare con Casa Bianca e Cremlino senza peccare né di servilismo né di arroganza, facendo sentire il proprio supporto ai paesi dell’est Europa e costituendo di fatto l’unico ponte possibile tra l’Atlantico e gli Urali. Sì, tolta di mezzo la sterlina ci si avvicina alla sovrapposizione tra unione europea e monetaria, nonché all’ambizioso sogno federalista degli Stati Uniti d’Europa. Ma se l’Europa non si rinnova da un punto di vista politico, economico e istituzionale si rischiano anche pericolose asimmetrie, nuove defezioni e l’indebolimento di un free trade incline a rimanere solo l’ultimo ricordo anglofono della comunità europea.