L’Italia non è conosciuta in tutto il mondo solo per la pizza e la mafia, è famosa anche per il calcio, uno sport che noi cittadini del Bel Paese seguiamo da sempre, passione tramandata da padre in figlio, di generazione in generazione, dalle domeniche trascorse in famiglia a guardare le prime partite in bianco e nero ai sabato sera di primavera allo stadio.
Alcuni semplici spettatori hanno però saputo trasformare questa passione in qualcosa di più, caricandola di significati che oltrepassano il legame affettivo con la singola squadra: stiamo parlando degli ultras, gruppi organizzati di tifosi che incitano i giocatori, gioiscono e piangono con la società, pensano alle più strabilianti coreografie per trasformare dei gradoni di cemento in spettacoli fatti di colori, persone e urla.
Ma quando nascono gli ultras? Quando vengono a crearsi i primi gruppi organizzati di tifosi? Tutto questo, e molto altro, è illustrato in “I ribelli degli stadi. Una storia del movimento ultras italiano”, un libro realizzato da Odoya Edizioni e scritto da Pierluigi Spagnolo, giornalista della Gazzetta dello Sport, per anni frequentatore della curva.
Stando a quanto raccontato da Spagnolo, gli ultras sarebbero figli del movimento giovanile diffusosi in Italia nel ’68: gli universitari che invadevano le strade con megafoni e striscioni erano gli stessi che si trovavano ogni domenica allo stadio a supportare undici giocatori:

“Gli ultras sono una sottocultura, ovvero un insieme di soggetti accomunati da una passione comune, quella per la propria squadra. Un gruppo che vive seguendo regole proprie e codici comportamentali ben definiti, con amicizie e rivalità, una vera visione del mondo, valori riconoscibili all’interno di quel mondo ma difficili da comprendere per chi non ne fa parte”.