Dalla rivoluzione industriale ad oggi, la nostra economia si basa su modello lineare: estraiamo le materie prime, le trasformiamo, utilizziamo i prodotti finiti e li gettiamo, con conseguenze tangibili sull’ambiente. In natura, invece, “nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”.
L’idea di COP21 e, più nello specifico, del pacchetto di misure approvato dall’Unione Europea per promuovere l’economia circolare è proprio quella di replicare il modello di funzionamento naturale del nostro pianeta. In un contesto in cui l’accesso alle materie prime diventa sempre più difficile e costoso, il riscaldamento globale ogni anno più evidente e soltanto il 40% dei rifiuti riciclato o riutilizzato, è quanto mai importante promuovere un cambiamento sostanziale del nostro modo di produzione e utilizzo dei prodotti.
Il pacchetto europeo, approvato dalla Commissione Europea nel luglio 2014, contiene degli obiettivi che dovrebbero diventare vincolanti (una volta approvati da Consiglio e Parlamento Europeo), quali il riciclaggio del 70% dei rifiuti urbani e dell’80% dei rifiuti di imballaggio entro il 2030 e, a partire dal 2025, il divieto di collocare in discarica i rifiuti riciclabili e biodegradabili.
Ma la vera rivoluzione consiste nel promuovere la transizione del vecchio continente verso un’economia circolare, capace di rilanciare la nostra competitività a livello globale, favorire una crescita economica sostenibile e creare nuovi posti di lavoro.
I principi ed il funzionamento dell’economia circolare
L’economia circolare si può definire come un ciclo di sviluppo continuo che preserva e potenzia il capitale naturale, ottimizza il rendimento delle risorse e migliora l’efficienza del sistema.
Si basa su tre caratteristiche principali:
1) Riciclaggio “a circuito chiuso”: mentre vetro, acciaio e alluminio possono essere riciclati continuamente (circuito chiuso), plastica e carta perdono qualità ogni volta che vengono riutilizzati (circuito aperto). Riciclare di più a circuito chiuso significa innanzitutto produrre impiegando dei materiali che possono essere riutilizzati continuamente in futuro: è l’esempio di Dell, che ha introdotto un tipo di plastica che non si deteriora nel tempo, permettendo all’azienda di risparmiare, ridurre le emissioni di anidride carbonica e attrarre i clienti più attenti all’ambiente.
2) Un nuovo concetto di proprietà: riciclare non basta, occorre distribuire il prodotto in maniera nuova. La soluzione consiste nel rendere disponibile il servizio e non il prodotto stesso: se la proprietà (insieme a riparazione e manutenzione) resta in mano ai produttori o ai distributori, le aziende potranno continuare ad avere accesso a materiali preziosi, una volta terminata la vita utile del prodotto. Questo modello è già utilizzato per automobili e cellulari, ma potrebbe essere esteso a elettrodomestici o a prodotti per uffici, grazie anche a sistemi di sharing o network che mettano in contatto i fruitori del servizio. Un servizio migliore ad un minor costo sarebbe vantaggioso sia per i consumatori che per i produttori, i quali ridurrebbero l’utilizzo di energia, favorendo tra l’altro lo sviluppo delle rinnovabili.
3) Ampliamento di utilizzo dei prodotti: l’estensione della longevità del prodotto e l’eliminazione dell’obsolescenza programmata vanno nella direzione giusta. Molte aziende riutilizzano parti di vecchi prodotti per crearne di nuovi destinati a mercati secondari o emergenti, che richiedono una tecnologia meno sofisticata. Poiché sostituire o trasformare parti già esistenti è sempre più economico che produrne di nuove, questo metodo si traduce in un significativo vantaggio economico per i produttori.
I benefici dell’economia circolare
La buona notizia è che molte aziende e start-up stanno iniziando ad adottare l’approccio di economia circolare, ma è necessario che tutte contribuiscano a creare un’infrastruttura interconnessa. I vantaggi sarebbero peraltro evidenti: da un lato si ridurrebbero le esternalità negative nei confronti dell’umanità (in termini di cibo, salute, mobilità) e dell’ambiente (sfruttamento della terra, inquinamento atmosferico, idrico e acustico, rilascio di sostanze tossiche e cambiamento climatico). Dall’altro, secondo lo studio Growth within: a circular economy vision for a competitive Europe, realizzato dal McKinsey Center for Business and Environment in collaborazione con la Ellen MacArthur Foundation, un sistema circolare potrebbe arrivare ad aumentare la produttività delle risorse fino al 3%, il PIL europeo fino al 7% (grazie ai 1800 miliardi di euro di risparmi) e il reddito disponibile delle famiglie fino all’11%, rispetto al percorso di sviluppo attuale, entro il 2030.
Chiara Crognoletti