“Perché gli uomini invece di stare fermi se ne vanno da un posto all’altro?”. Si chiedeva Bruce Chatwin, uno dei più grandi nomi della letteratura di viaggio che al nomadismo, al bisogno incessante dell’uomo di spostarsi pena l’irrequietezza, ha dedicato gran parte dei suoi studi e della sua vita. L’attitudine alla mobilità è nel nostro DNA, ma nei secoli l’uomo è diventato sedentario, ha scelto come casa quattro mura e l’ha fatta diventare un pilastro della società. La casa oggi ci definisce: il quartiere in cui viviamo, gli arredi che scegliamo, le cure che le dedichiamo, rispecchiano la nostra personalità e ci rappresentano.
Nuove condizioni, nuove generazioni… nuove regole
Tradizionalmente il nomadismo viene associato al Paleolitico, quando le tribù si spostavano per cercare risorse per sopravvivere: con l’allevamento e l’agricoltura l’uomo è diventato sedentario e si è mosso sempre di meno. Oggi però, secondo lo Studio Carlo Ratti Associati che ha condotto (in collaborazione con Copernico, BNL e Arper) la ricerca Copernico. Il nuovo paesaggio del lavoro, siamo di fronte a una nuova ondata di nomadismo. Un nomadismo culturale che rifiuta una residenza permanente e un ufficio fisso, che sceglie come casa il mondo, spostandosi da un luogo all’altro – proprio come facevano le tribù – cercando risorse, non più di cibo, ma di lavoro e di incontri. È un nomadismo funzionale alla nostra produttività.
La condizione di stanzialità, costruita nei secoli, è in crisi. Soprattutto per le generazioni di nativi digitali che sono naturalmente abituate alla non corrispondenza tra luogo e situazione e che per questo sentono il bisogno di muoversi cercando occasioni di scambio e accrescendo la propria conoscenza, rifiutando (a volte, ma non sempre) beni materiali come case, automobili e oggetti, preferendo un approccio cosiddetto “light”.
L’innovazione come acceleratore
Ma la tecnologia in questo nuovo modello societario che ruolo ha? È causa o conseguenza? Dimenticandosi della nostra storia e della nostra natura, si potrebbe pensare che è grazie alla diffusione di rete, cloud, smartphone e altri sistemi tecnologici, che l’uomo è potuto tornare a essere nomade. In realtà, il cambiamento è culturale e l’innovazione, in particolare la tecnologia, è stata ed è un acceleratore. Instabilità economica, incertezza del futuro, ma anche maggiore scolarizzazione e possibilità di viaggiare sono gli elementi che hanno contribuito a cambiare l’asset mentale delle nuove generazioni, e non solo. Indipendentemente da quale città del mondo si viva, chiunque ha la possibilità di accedere a informazioni, servizi e cultura prodotti in un altro luogo. La visione del mondo di oggi è cambiata: siamo coscienti che le diversità culturali avvantaggino l’economia, l’antipodo geografico non ci sembra così lontano e nemmeno così diverso. E soprattutto è raggiungibile.
Non solo digital nomad
Il nomadismo del XXI secolo riguarda soprattutto due settori: quello dei viaggi e quello del lavoro. A partire dal settore dei servizi, la trasformazione è in atto da tempo, con conseguenze non solo sul modo di lavorare, ma anche sulla figura del lavoratore e negli ambienti di lavoro, aperti, flessibili, vissuti da persone con diverse competenze, alcune solo di passaggio, e in grado di stimolare nuove connessioni e scambi di conoscenza e cultura. Quindi non solo digital nomad, ovvero quei lavoratori senza ufficio che si spostano – idealmente da una spiaggia all’altra, nella realtà da uffici, bar, ostelli, case affittate su Airbnb in luoghi diversi nel mondo – lavorando da remoto per committenti diversi e sparsi nel mondo. Ma anche la classe creativa, da sempre e per natura mobile e curiosa di conoscere diverse città, culture e nuovi modi di pensare. Gli architetti Charles e Ray Eames furono pionieri del telelavoro già negli anni Quaranta, Picasso visse in nove città diverse, così come in perenne movimento furono Ernest Hemingway, Leonardo da Vinci e tantissimi altri artisti.
E dopo anni in cui avere una casa e stare in un unico posto sembrava la condizione migliore per la nostra vita, stiamo assistendo a una nuova rivoluzione creativa che formerà una nuova figura umana e professionale, ad alta specializzazione. Nomade della conoscenza.