Nato a Salerno nel 1993. Il suo percorso formativo è fatto di una grande voglia di conoscere, soprattutto persone nuove. L’esplorazione è nel suo sangue, l’entropia è il suo essere.
La vita di Jacopo Mele è affascinante, avventurosa ed entusiasmante, come la sua personalità. Un ragazzo ancorato alle sue radici, appassionato di treni e con una generosità infinita.
Oltre ad avere inventato una nuova figura professionale, ha deciso di sfruttare le sue doti comunicative naturali per aiutare i giovani a trovare il loro posto nel mondo, ormai fuso tra digitale e analogico, sempre tenendo a mente che le persone vengono prima di tutto.
Hai iniziato a programmare da giovanissimo. Cosa ti attirava della tecnologia?
“Faccio una piccola premessa: io sono l’ultimo di quattro figli. La mia fortuna è stata nascere in mezzo a tre fratelli che mi hanno ispirato molto: il primo di questi è un appassionato di tecnologia, quando lui aveva 12-13 anni mi leggeva i libri di Zichichi (fisico italiano, ndr) e quindi ero appassionato di buchi neri e buchi bianchi. Lui, poi, a 14 anni sviluppava siti web e volevo dare anche io il mio contributo. Quindi, scrivevo qualche riga di codice. Mi ha sempre divertito perché la tecnologia mi ha sempre dato delle risposte. E poi con i miei fratelli maggiori, tra cui il primo che è il matematico della famiglia, c’è sempre stato questo scambio di conoscenze”.
Hai anche girato dei magnifici video. Come è nata questa passione?
“Per i magnifici, ti ringrazio. Sono stato fortunato a farli in una determinata epoca, per cui erano magnifici. Adesso la concorrenza è fortissima. Un giorno, mentre sviluppavo siti web, mio fratello si avvicinò e mi disse: <<Jacopo, c’è un programma complicatissimo, si chiama Final Cut. È un programma complicatissimo>>. Ok, ho scaricato Final Cut, ho iniziato a utilizzarlo e ho scoperto che era davvero complicatissimo. Fortunatamente, Final Cut era composto da più programmi e c’era un programma che si chiamava LiveType, che serviva a fare titolazioni (aggiunta di un testo ai video, ndr).
Quindi, ho iniziato a montare i miei video lì: così mi sono appassionato al montaggio e ho cercato di approfondire la materia. Leggevo gli annunci e andavo a fare da assistente. Ho iniziato a lavorare nella produzione. Ho conosciuto anche uno dei massimi trainer di Final Cut e ho iniziato a scambiare conoscenze con lui. In seguito, ho comprato la mia prima videocamera, mi sono appassionato al videomaking.
Pensavo di fare il montatore per tutta la vita, poi mi sono appassionato al videomaking, quindi riprese e montaggio. E volevo fare solo il videomaker. Poi ho detto <<Voglio fare solo l’operatore>>, non più il montatore: ho iniziato ad avere la mia piccola produzione, e così ho pensato di voler fare il produttore per tutta la vita.
Ogni volta pensavo di volerlo fare per tutta la vita e poi scoprivo un ramoscello inaspettato, di cui mi appassionavo sempre di più. Poi mi sono dedicato al marketing quando mi sono chiesto <<Come diffondi un prodotto audiovisvo in rete?>>”.
Adesso sei tra gli imprenditori under 30 più promettenti secondo Forbes con la tua attività di digital life coach. In cosa consiste il tuo lavoro?
“Il digital life coach nasce sei anni fa. L’ho inventato dopo un’esperienza nella consulenza di marketing perché pensavo che fare consulenza verticale – di una materia specifica – era una limitazione dal momento che il cliente non è educato a prendere scelte. Fondamentalmente, era inutile andare lì e offrirgli una soluzione già preparata.
Ho inventato il digital life coach, una persona che accompagna il dirigente nelle scelte, nella comprensione di come si prende una decisione. Affianco il primo livello dirigenziale delle aziende – Amministratore Delegato o Direttore Marketing, per esempio – in tutte quelle che sono le scelte strategiche per fare trasformazione digitale, lo guido nel prendere le decisioni più redditizie per l’azienda.
Posso lavorare come sparring partner (figura ingaggiata per sostenere le riprese di allenamento di un altro pugile, ndr), oppure lavoro da temporary manager – una figura professionale che lavora internamente per un periodo limitato di tempo al fine di creare una struttura per una determinata missione dell’imprenditore -. Divento, quindi, una persona di fiducia per il vertice aziendale per realizzare un progetto particolare e creare una struttura interna che possa dare continuità al lavoro.
Tutto questo lavoro si realizza attraverso una boutique di consulenza strategica, yourDIGITAL, di cui sono Managing Partner. In Italia siamo la boutique di consulenza digitale, dove lavorano 23 talenti focalizzati sulla strategia digitale sia come sparring partner sia come temporary manager”.
Come hai avuto l’idea?
“Io al tempo facevo consulenza verticale di marketing, mi accorgevo che il cliente prendeva solo il 70% di quello che volevo trasmettere perché non aveva le competenze per comprendere quello che io potevo offrirgli. Un giorno mi sono trovato in una riunione dove c’era il Consiglio di Amministrazione di un’azienda – che non dovrebbe intromettersi nelle decisioni prettamente operative – che stava prendendo delle scelte sbagliate e poco lungimiranti a causa dell’ignoranza in materia. Mi sono seduto vicino al cliente e ho iniziato a disegnare quello che stavamo dicendo per spiegarlo in maniera semplice e immediata. Dal giorno successivo lui aveva le armi e gli strumenti per poter scegliere e intervenire nella discussione.
Una settimana dopo dovevo incontrare un cliente molto importante e mi sono detto <<Che gli dico? Che faccio il consulente di marketing o faccio qualcos’altro?>>. Non sapevo cosa raccontare, ma ero certo di volermi presentare come una figura diversa dal consulente perché avevo capito che era limitante. Quindi mi sono inventato il digital life coach, che fa affiancamento strategico. E alla fine mi sono concentrato su questo”.
E yourDIGITAL come nasce?
“È la divisione di un gruppo, che ha altre tre sezioni: YourCFO, YourHR, YourCEO. Incontrando Andrea Pietrini, Managing Partner di YourCFO, ci siamo accordati per creare una divisione digital. Con lui avevo già dei precedenti lavorativi: è tesoriere della mia Fondazione, è una persona che conosco molto bene e di cui mi fido molto.
YourDIGITAL è nato spontaneamente, dall’idea di replicare il modello di YourCFO sul mondo digitale. Abbiamo coinvolto i maggiori talenti: ora siamo 23 ed entro fine anno diventeremo più di 30. In definitiva, è nato da una grande intesa tra due persone: il mio lavoro si basa sulle relazioni e sulle persone perché sono convinto che prima della tecnologia ci siamo le persone”.
A scuola facevi tante ore di assenza, all’università non sei andato.
“Ti devo correggere, erano giornate di assenza (ride)”.
La mia domanda è: cosa ti ha aiutato a diventare ciò che sei ora?
“In realtà io non andavo a scuola perché mi concentravo sulle cose che mi divertivano: andare al conservatorio, andare in bicicletta, risolvere i problemi alle persone, conoscere nuovi posti e nuove persone. Facevo assenza per esplorare, cosa che mi ha portato a conoscere persone molto interessanti, attraverso le quali ho imparato tantissimo e ancora oggi conosco persone che hanno tanto da insegnarmi.
Sono un autodidatta, la scarsità delle ore accademiche è stata la mia fortuna perché credo che l’attuale struttura scolastica dia molti vincoli e ti insegni a imitare e clonare. Invece penso che l’essere umano abbia una mente creativa, capace di fare qualcosa di inimmaginabile. Non andare a scuola mi ha aiutato a recuperare un po’ di tempo per fare tutto questo.
Il mio è stato un percorso molto personalizzato anche perché io ho una media dislessia e nella scuola non trovavo un metodo di apprendimento adeguato. Imparavo bene attraverso le persone e il computer, e mi sono sempre concentrato nelle cose che mi riuscivano. I miei voti erano tutti sufficiente, ero quello che andava a scuola il 10 giugno per non essere bocciato, il classico compagno di classe inutile. Però quando non andavo a scuola, in realtà, facevo tante altre attività a valore per la mia conoscenza.
Quindi cosa mi ha aiutato? Incontrare tante persone, chiedere tanti consigli, inseguire le persone in giro per l’Italia, prendere treni alle due di notte, concentrarmi a creare input di qualità senza sapere cosa mi aspetta dopo. La scuola, invece, ti dice <<Copiami il disegno di questo portone e prendi 10 >>. Io voglio immaginarmi un nuovo portone, non voglio imitare”.
Sei anche fondatore e Presidente della Fondazione Homo Ex Machina Onlus. In cosa consiste l’attività?
“Qui mi porti sul mio amore. La Fondazione nasce tre anni fa, dopo nove mesi di incubazione e studio. Nasce da nove soci fondatori per realizzare soluzioni ad alto impatto sociale attraverso le nuove tecnologie.
Abbiamo realizzato una soluzione per salvare vite umane in siti ad alto rischio vulcanico, che gestisca in tempo reale informazioni e soccorsi in caso di eruzione vulcanica. Questa intelligenza artificiale (AI, ndr)si chiama SCAPP, il cui Direttore Creativo, Massimiliano Maria Longo, è l’italiano più premiato al mondo dal 2011 oltre a essere uno dei soci fondatori. Su quest’AI ci hanno lavorato dei volontari, ed è stato cruciale il supporto di Gianni Cuozzo, team leader del progetto.
Quello che abbiamo voluto fare nella Fondazione è mettere insieme i player del mondo digitale, dove ognuno donasse parte del proprio tempo. La chiave del successo, in questo caso, è la generosità. Ora siamo molto concentrati nell’orientamento degli under 18.
Per dare impatto sulla società, dobbiamo agire sulla formazione. Io mi sento in una generazione-ponte: ho la possibilità di farmi ascoltare sia da quelli più grandi che dalle fasce d’età più giovani. Quello che posso fare io è metterli in connessione, è il mio ruolo. Quindi, organizziamo una summer school per bambini dai sei ai dodici anni per stimolarne la creatività, la curiosità e le dinamiche di gruppo: e succedono cose pazzesche. Ci sono bambini affamati di curiosità, pieni di voglia di fare, che parlano di obiettivo e strategia.
Un altro progetto è Tecnopia, dedicata agli under 18 perché sono per noi il patrimonio più grande perché andranno a gestire tutti gli asset presenti attualmente. È un premio, nel quale un guru della tecnologia pone un dilemma tecnologico: quindi, non chiediamo di risolvere un problema, poniamo un dilemma. La risposta, perciò, deve contenere vision e immaginazione, non una soluzione.
Quest’anno il guru è stato Mariano Golinelli, 96 anni e Fondatore della Fondazione Golinelli. Lui ha chiesto <<Come immaginate il 2065? Quali saranno le sfide e quale sarà il rapporto tra uomo e macchina?>>.
Per essere ammessi al concorso è necessario inviare un video, che viene valutato da una giuria mista composta da under 25 e over 25. Il premio finale consiste in un tour a Roma di 20 incontri strategici per noi: due venture capitalist, degli imprenditori, un europarlamentare, un deputato, un ex Ministro, un assessore, dirigenti della net economy, al fine di creare il ponte generazionale.
Questo è capitato a me, nel caos. Forse sono stato fortunato, forse ho saputo cercarmi le opportunità, o forse ho saputo ascoltarli. Tutto quello che è capitato a me ho voluto restituirlo agli under 18”.
In un’intervista hai dichiarato che l’entropia è il tuo essere. Come la declini nel tuo lavoro? E nella fondazione?
“Non è possibile declinare l’entropia, la fondazione e il lavoro sono la mia vita, non c’è distanza. È vita. Le emozioni influenzano tutto. Succedono delle cose stranissime durante il giorno, che non mi aspetterei mai. Se tu mi avessi chiesto un anno fa se mi fossi aspettato di essere ciò che sono oggi, ti avrei detto tutto il contrario perché mi concentro sulla diffusione di input di qualità. Questo è possibile grazie al networking che, come dice Gianfranco Minutolo (Direttore della Bocconi Alumni Association, ndr), è <<L’arte del contadino che semina, moltiplica e poi raccoglie. Può capitargli di trovare il raccolto ghiacciato o rigoglioso, dipende tutto dal contatto con la natura>>.
Al di là di tutto, la domanda è estremamente complicata; comunque, tutto ciò che faccio non è finalizzato a qualcosa di definito, ma mi aspetto di conoscere quella parte indefinita. Incontro tante persone che spesso cercano di dare una motivazione a tutte le loro azioni, ma dare dei limiti significa costruire un recinto. Noi viviamo in un universo entropico, non possiamo metterci recinti”.
Capitolo Londra: sei partito con l’idea di conoscere almeno una persona al giorno. Com’è andata quest’avventura?
“In Italia sto bene, due anni fa non avrei mai pensato di andarmene a Londra. Mia sorella, dopo anni che lavoravamo insieme, va a Londra e mi dice <<Jacopo, io faccio un colloquio il 16 di gennaio, poi vado in Islanda>>. Io decido di seguirla perché era da anni che desideravo fare un viaggio in Islanda. Lei il 16 fa il colloquio e viene assunta, dopodiché arrivo io e incontro Nicola Greco, un mio carissimo amico, e parliamo di machine learning (apprendimento automatico, ndr). Poi incontro due miei amici giornalisti e capisco che tutta la mia attività in Italia è l’ordine del giorno per Londra. Il giorno dopo vado alla stazione di King’s Cross, la stazione dei treni internazionale – io faccio circa 200 mila chilometri in treno all’anno -, e mi emoziono.
Così, chiedo a mia sorella se le piacesse l’idea di cercare casa insieme a Londra. Cala il gelo, soprattutto perché io sono andato via di casa al terzo anno di superiori e mia sorella non si sarebbe mai aspettata di tornare a vivere con me. Andiamo in Islanda e, una volta rientrati a Londra, ci sistemiamo: quando, poi, mi sono ritrovato a dover chiamare tutti i miei clienti per comunicare il cambiamento e proporre di continuare le collaborazioni a distanza, sono stato fortunato a trovare il loro consenso. Stare a Londra significa stare al centro di tutto, adesso faccio avanti e indietro”.
Perché proprio Londra?
“Perché credo che sia la Roma di duemila anni fa, il centro d’Europa”.
Anche con la Brexit?
“A Londra passano tutti almeno una volta nella vita e, quindi, c’è un riciclo di persone molto interessante. Soprattutto se lavori nell’innovazione, è necessario vivere in determinati luoghi: Londra ti permette di crearti il tuo luogo, con le zone di innovazione che vuoi presidiare. È come se fosse la tua homepage personalizzata”.
Le tue abilità comunicative ti hanno permesso di crearti un lavoro su misura per te. Cosa consiglieresti a chi ha le tue stesse doti per sfruttarle in ambito comunicativo?
“Io vorrei leggere le risposte, non vorrei darle io.
Ad ogni modo, su di me hanno inciso molto di più le soft skill (competenze trasversali, ndr) rispetto alle hard skill. Queste ultime sono come i ramoscelli di un albero: io ne mettevo uno in una direzione e poi all’improvviso l’orizzonte si ampliava; scoprivo cose nuove, mi ci appassionavo e mettevo un nuovo ramoscello. Il tutto avveniva in modo naturale, poi tante conoscenze passate sono tornate; però le hard skill sono quelle che impari nel ramoscello perché ti appassioni. Di base c’è la voglia di mettere ramoscelli, di esplorare nuovi orizzonti; e per farlo, le doti di comunicazione sono state fondamentali perché mi hanno consentito di accedere a quei ramoscelli, di dialogare, confrontarmi e incuriosirmi”.
Quali sono i piani per il futuro?
“È curioso perché tutti pensano che una persona come me abbia dei piani, apra il suo armadio e veda le sue mappe, abbia un percorso chiaro. Non è così, la vita può cambiare da un momento all’altro, e io cerco di rendere ogni attimo pieno di qualità, di conoscere nuove persone ogni giorno e connettere le persone per trovare delle soluzioni. Dopodichè i miei piani per il futuro includono anche la crescita della Fondazione e raggiungere gli obiettivi di YourDigital. Ma, al di là della vita professionale, voglio diventare nonno”.