La situazione in Medio Oriente, in particolare nella regione Siriana, a patto che non lo sia già, rischia di sfuggire totalmente di mano. Sono giorni, infatti, che la Turchia non smette di bombardare le postazioni Curde nel nord del Paese. Si delinea quindi uno scenario in cui Erdogan, dopo le numerose morti curde sul suolo turco, pone al vaglio anche una nuova strategia, che prevede l’esportazione di questa campagna di terrore al di fuori dei propri confini.
Sebbene la megalomania del presidente turco sia un ottimo indicatore delle sue intenzioni, non possiamo attribuire questa mossa a istinti del tutto irrazionali. Sono molti gli analisti internazionali, infatti, che fanno notare come Erdogan nell’ultimo decennio sia fortemente cambiato. Non si tratta più del sindaco di Istanbul, politicamente moderato e promotore dei valori occidentali. Da diversi anni da parte sua viene perpetuata una politica di forte islamizzazione della società; Andrea Romero, una ragazza appena tornata da un anno di Erasmus in Turchia mi ha confessato: “stanno costruendo moschee ovunque, ogni 500 metri spuntano nuovi luoghi di culto. C’è solo un problema, non ci va nessuno”.
Paradossalmente, ma questa è semplicemente una speculazione, Erdogan vuole rinvigorire il sogno di una grande Turchia, quella di Mustafa Kemal Ataturk, fondata, però, su valori diametralmente opposti. Come nel caso di Ataturk, considerato oggigiorno eroe nazionale e fondatore della Turchia moderna, si tratta di una personalità autoritaria ma con una differenza non di poco: Erdogan non crede nella totale separazione tra stato e chiesa e vede la religione come un ottimo “asset” per controllare la popolazione. Se questo non dovesse bastare, anche l’atteggiamento nei confronti dei valori occidentali potrebbe cambiare radicalmente. Come dice Samuel Huntington, nell’estrema visione di Ataturk, la completa occidentalizzazione di una società intrinsecamente non occidentale non solo è possibile, ma necessaria e in sé desiderabile. Erdogan ha smesso di credere in questo.
Ora, in concreto, quali sono state le azioni della Turchia in questi ultimi giorni?
A meno di 24 ore dalla conferenza stampa congiunta del segretario di stato statunitense John Kerry e del ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov, dove era stato annunciato un possibile cessate il fuoco entro sette giorni, Ankara ha iniziato la sua campagna di bombardamenti sul territorio Siriano. Diverse postazioni militari sona state portate al confine con la Siria ed è stato loro ordinato di aprire il fuoco contro le milizie curde nel Nord della Siria.
La tanto agognata tregua, per la quale per la prima volta era stata fissata una data, ora sembra essere molto più lontana, se non addirittura più complessa.
Le forze attualmente sul campo sono: Esercito regolare di Damasco, accompagnato da truppe libanesi ed iraniane, supportate dall’ aviazione russa; diversi gruppi di ribelli non precisamente identificabili, sostenuti dai raid statunitensi; lo Stato Islamico, spesso alleato con il fronte Al-Nusra, milizie curde apertamente sostenute da Washington ma con buoni rapporti con Mosca; e questa è semplicemente la punta dell’ Iceberg: i gruppi armati di ribelli sono più di 50, tutti con alleanze trasversali tra loro e con lo Stato Islamico. A tutto questo, per aver chiara la situazione, bisogna aggiungere i bombardamenti turchi e le di dichiarazioni saudite, riguardanti un loro possibile intervento via terra al fianco di Ankara. Ad oggi la luce in fondo al tunnel sembra essere veramente lontana.
Erdogan stesso ha spiegato le motivazioni dei bombardamenti: “La Turchia non permetterà che le milizie curde, supportate dagli stati uniti, riescano a stabilirsi nei pressi del confine [Turco-Siriano]. Noi non fermeremo i bombardamenti finché la nostra sicurezza sarà a rischio”. Da poco più di 10 giorni, infatti, sono iniziate le manovre dell’esercito Siriano, sostenuto dall’aviazione russa, nella zona di Aleppo (sempre a nord della Siria). Manovre dalle quali i curdi sono riusciti a trarre vantaggio, stabilendosi con fermezza nella zona a nord-ovest del Paese, combattendo contro i miliziani dell’ISIS per raggiungere i tradizionali territori curdi a nord-est.
Al momento, questo è il quadro generale della situazione.
La domanda su cui dovremmo riflettere è: qual è la posizione dei leader europei? Ovviamente al momento tutti hanno espresso preoccupazione per le recenti mosse della Turchia, condannandole come contrarie al diritto internazionale. Se guardiamo al trend degli ultimi mesi, però, vediamo la collaborazione con Ankara su vari livelli. L’Europa sta guardando al proprio interesse immediato e l’esempio più lampante è la crisi migratoria. È stata garantita una concessione di 3 miliardi di euro a favore di Ankara perché vengano creati sul territorio turco campi profughi per ospitare i migranti. Non che, in linea di principio, questa collaborazione non possa essere fruttifera per entrambe le parti, ma uscendo dal mondo delle idee e catapultandoci nella realtà della Turchia contemporanea, è difficile dire se le parti staranno ai patti. Sono innumerevoli le ONG che hanno denunciato le condizioni all’interno di questi campi, così come vari ministri degli esteri, tra cui quello italiano Gentiloni, che hanno espresso dubbi circa l’efficacia di questa proposta.
È davvero difficile fare previsioni riguardo agli sviluppi della situazione. Grazie a questo articolo ho cercato di rendere palese l’estrema instabilità della regione. Per il momento non possiamo fare altro che aspettare, attendendo la prossima mossa di una grande potenza.