Notizie poco rassicuranti per la sicurezza internazionale giungono da oltre Manica. Stando ad un report della BBC firmato da Rupert Wingfield-Hayes, la marina statunitense stanziata nel Pacifico Orientale starebbe eseguendo delle esercitazioni militari atte a preparare le truppe e l’equipaggio ad un eventuale attacco da parte dell’esercito cinese.
Le autorità statunitensi, ovviamente, negano ogni possibile collegamento tra tali esercitazioni e la paura per un attacco cinese, affermando che la marina “non si sta preparando con una guerra contro alcuna nazione nello specifico”. Eppure appare chiaro come, al momento, sia proprio la Cina il principale pericolo per la flotta americana.
Non è certo un caso, infatti, se da Washington sono stati inviati due portaerei con relativi gruppi di battaglia – più un totale di 200 aerei da combattimento – al largo delle coste di Guam, avamposto statunitense nel Pacifico Orientale, che vanno ad unirsi alla portaerei USS George Washington stanziata al largo del Giappone. Un tale dispiegamento di forze è comprensibile solo in presenza di un potenziale nemico, e nella zona l’unica grande potenza a non essere fedele alleata degli Stati Uniti è, appunto, la Cina.
L’ipotesi che la marina americana si stia preparando per uno scontro con l’ex Impero Celeste è corroborata anche dal fatto che tali spostamenti sembrano seguire fedelmente la strategia d’azione che al Pentagono hanno rinominato AirSea Battle.
Tale strategia, resa pubblica nel resoconto quadriennale del Dipartimento della Difesa nel 2010, prevede un’integrazione delle forze di mare e delle forze aeree per far fronte ad avversari con equipaggiamenti ad alta tecnologia che possano mettere a repentaglio la libertà d’azione statunitense in aeree ritenute di cruciale importanza strategica, nello specifico il Pacifico Orientale (in cui il principale pericolo è, appunto, la Cina) e il Golfo Persico.
Al momento la forza bellica della marina cinese non è minimamente paragonabili a quella americane, capace di un dispiegamento di forze imparagonabile rispetto a quello di qualunque altra potenza, eppure l’Esercito Popolare di Liberazione Cinese sta sviluppando armi e tecnologie in grado di limitare la libertà di movimento delle portaerei a stelle e strisce: sottomarini più silenziosi, missili ipersonici a lungo raggio e, soprattutto e missili balistici a medio raggio estremamente precisi, sono un pericolo da non ignorare.
Ma quali sono le cause di un possibile scontro navale tra Cina e Stati Uniti? O, per essere più precisi, cosa c’è alla base delle tensioni e dell’attrito tra le due superpotenze? La risposta è tanto semplice quanto problematica: l’egemonia strategica nel Mar Cinese Meridionale. Da una parte c’è la Cina che sta cercando di estendere il proprio controllo su di un tratto di mare di importanza cruciale sullo chiacchiere geopolitico, conquistando o fabbricando) isole al largo delle coste del Borneo e delle Filippine, dall’altra ci sono gli Stati Uniti, che hanno invece tutta l’intenzione di mantenere lo status quo e difendere i propri interessi commerciali e politici nella zona.
Senza avventurarci troppo in considerazioni di politica internazionale, non esauribili in poche righe, al momento uno scontro armato sembra improbabile, ed entrambe le superpotenze hanno tutto l’interesse affinché un compresso venga trovato. Eppure a Pechino non sembrano intenzionati a rinunciare a ciò che ritengono come proprio diritto, mentre i governi di Hanoi, Tokio, Manila e Taipei non vogliono rinunciare all’idea di vedere portaerei americani solcare il Pacifico Orientale, arginando l’espansionismo Made in China.