Nasce l’hashtag #SummerinSyria ed è subito il caos? Perché?
Se l’idea che uno Stato possa essere paragonato ad un brand vi suona così peregrina è perché siamo ancora legati ad un concetto di nazionalità e cittadinanza piuttosto idilliaco, che colloca tutto ciò che riguarda le dinamiche statali al di sopra delle logiche di marketing. La verità è ben diversa e lo dimostrano realtà come quella di EXPO2015: non si tratta di un brand, giusto? Eppure la gestione dei suoi canali social è sotto tutti i riflettori, tra luci ed ombre, come anche si dà un grande peso alle sue strategie di comunicazione.
Allo stesso modo, tra le abilità (necessarie e molto gradite) di un politico o di un personaggio pubblico particolarmente noto oggi deve svettare la capacità di saper gestire una buona azione di digital PR attraverso i propri account social.
Nel mondo della comunicazione 2.0 e delle social media strategy, cosa impedisce ad uno Stato intero di essere inquadrato nelle stesse logiche di brand identity che caratterizzano altre istituzioni commerciali/pubbliche? Questa ipotesi ci ricollega al ‘fenomeno’ dell’hashtag #SummerinSyria, che in questi giorni sta rimbalzando all’impazzata su Twitter.
L’agenzia di stampa siriana SANA, vicina al governo di Bashar al-Assad, ha lanciato l’hashtag #SummerinSyria, con l’intento di coinvolgere turisti e cittadini siriani nella condivisione di fotografie e Tweet sulla bellezza della propria estate siriana. La Siria è attualmente dilaniata da una guerra civile che sta martoriando il Paese da circa quattro anni.
Un tentativo di invitare la popolazione (e il turismo) ad avere speranza e a guardare oltre il panorama della guerra? Oppure, una strategia mediatica per coprire una realtà terribile e scomoda? L’agenzia SANA è nota per i suoi toni decisamente ‘leggeri’ e ‘frivoli’, tanto da non riportare altre notizie se non il meteo e gli aggiornamenti sugli eventi mondani di Damasco. Fatto sta che la reazione negativa all’hashtag non si è fatta attendere.
Si tratta di un caso quasi assimilabile ad una social crisis. Si parla di social crisis quando gli utenti dei social reagiscono con un engagement (interazione) estremamente negativo all’azione di un certo brand/personaggio. Fu una social crisis quella di Barilla o di Dolce&Gabbana. Nel caso della SANA e del governo siriano, l’hashtag ‘incriminato’ è parte di una social media strategy sbagliata, che non ha tenuto conto delle possibili reazioni sui social e del fatto che anche uno Stato può essere considerato come un brand, come un influencer, come un utente che essendo esposto sui social network deve rendere conto di tutte le sue mancanze.
Seguendo il principio per cui nel web 2.0 ogni emozione ed azione sono moltiplicate all’ennesima potenza, la reazione a #SummerinSyria è stata esplosiva e si è ritorta immediatamente contro gli ideatori dell’hashtag, mettendo in risalto proprio i contenuti che si è cercato di occultare: la guerra, le città martoriate, le vittime, il terrore.
Il paragone fatto da Valentina Spotti per Techeconomy è preciso e calzante: «È come se domattina una qualsiasi catena di fast food lanciasse l’hashtag #IlFrittoNonFaVenireIlColesterolo», senza ipotizzare minimamente le conseguenze.