Secondo l’YPG (Yekineyen Parastina Gel, l’esercito nazionale del Kurdistan Siriano) è morto da eroe. Almeno è questo che trapela dalle poche righe scritte sul sito internet dell’Unità di Difesa Popolare con la quale ha combattuto fino all’ultimo respiro. Oggi, tutto quello che rimane di Ashley Johnston, 28enne australiano, è ciò che è stato lui stesso a volerci dire quando era ancora in vita. Ma facciamo un passo indietro.
E’ in corso da mesi, in tutto il mondo, un dibattito, tra le autorità che vigliano il mondo del web e le istituzioni, per stabilire le linee guida di quella che viene definita l’ “eredità digitale” di una persona, ovvero il destino delle informazioni pubblicate sui social network da parte di un utente scomparso. Nonostante l’accesa diatriba tra morale e informazione, circa il diritto all’oblio, però, un accordo sembra essere ancora molto distante. Nel frattempo i canali social, come testimoniano le condotte delle grandi testate internazionali in occasione dei più sconvolgenti eventi di cronaca, sono diventati l’unica fonte ufficiale per raccogliere notizie sulla persona interessata. Ed è proprio attraverso questo metodo che vogliamo affrontare il delicato tema dei combattenti delle YPG, i gruppi militari curdi che in questi ultimi mesi, attraverso il reclutamento di civili sui social network, arruolano volontari per combattere l’IS al fianco dei curdi siriani.