Banche Centrali Sotto Ricatto Dei Mercati Finanziari ?

Banche Centrali Sotto Ricatto Dei Mercati Finanziari

Era un modo diverso in passato quando le Banche Centrali preannunciavano le linee guida della loro politica monetaria con orizzonti temporali di medio lungo termine. Tale approccio derivava dalla considerevole importanza riposta nel fornire agli operatori (il cosidetto mercato) tutte le informazioni in grado di far maturare in loro “aspettative razionali”. Questo concetto, figlio della Scuola Austriaca, affermava che se gli individui (consumatori – investitori) avessero usato le informazioni in modo accurato avrebbero evitato errori nella formazione delle aspettative riguardanti le variabili economiche ed inoltre, di conseguenza, si sarebbe favorito l’equilibrio tra prezzi e salari tali da rendere non necessario gli interventi di politica monetaria nel medio termine.

L’esempio più recente della “messa a terra” di questo concetto è stato il meccanico aumento dei Fed Funds preannunciato ed operato da Greenspan a partire dal 2004 attraverso regolari e costanti interventi (vedi grafico) . Con lo scoppio della crisi nel 2008, la FED fu poi constretta a riportare, in solo  sei mesi, i tassi di interessi ai livelli di quattro anni prima. La crisi del 2008 funge da “spartiacque” anche nel modo di intervenire da parte delle banche centrali : nasce il Quantitave Easing .

banche centraliCome dicevo prima del 2008 era un mondo diverso, non necessariamente migliore. Risulta comunque evidente che nella “nuova era” (attuale) le Banche Centrali hanno rinunciato a programmare le loro politiche di intervento con un orizzonte temporale di medio termine e si limitano a tracciare una rotta navigando “a vista”. Meglio dire che sono arrivate a sostenere, come ultimamente nel caso della BCE, che per raggiungere l’obbiettivo di alzare le aspettative di inflazione nel medio termine e quindi poi i tassi di interesse, si deve acconsentire a interventi volti ad ulteriore abbassamento dei tassi a  breve.

La conseguenza di ciò, è inevitabilmente una sorta di “confusione” degli operatori nel formarsi realistiche aspettative inflazionistiche e quindi nel disconoscere l’efficacia della politica monetaria riguardo alle componenti dei  salari, prezzi e crescita economica. Nuovi paradigmi sulla cui efficacia ed efficienza solo il tempo potrà essere giudice, ma che rischiano, in ogni modo, di mettere le autorità monetarie in una posizione di facile ricatto da parte dei mercati finanziari avari di denaro facile e a basso costo, sempre  pronti a far sentire la loro influenza con repentini storni dei corsi alle prime avvisaglie di interventi non graditi.

L’ultimo, a cui abbiamo assistito è accaduto a fine 2018, quando coincise esattamente con il tentativo di J. Power (FED) di ripristinare l’ortodossia di programmazione degli interventi sui tassi di interesse, dandone informativa al mercato.

Ricordiamo tutti come è andata a finire: le scuse del Governatore della FED, e la dichiarazione di essere “più accomodante”  per ridare fiato ai listini. Il suo comportamento si è dunque allineato a quello dei sui predecessori, dimostrando di interpretare il mandato meno attento alla crescita economica quanto ad esclusivo interesse dei corsi finanziari, dimenticandosi che dovrebbe riguardare anche gli investimenti (immobiliari ed aziendali) .

Quello che sarebbe lecito attendersi è che il prossimo taglio dei tassi di interessi in America avvenga se la disoccupazione comincia a crescere o l’inflazione mostrasse segni di rallentamento, non invece per pressioni dai mercati finanziari riguardo ai corsi azionari.