Prodotto dal duo Takagi&Ketra (dietro anche a hit del calibro di Roma-Bangkok e Oroscopo) e registrato negli studi di Newtopia, casa discografica indipendente fondata dai due rapper made in hinterland (che uno dice: che nome geniale, combina i concetti di “nuovo” e “utopistico” così adatti al mondo discografico e alla società tutta – e infatti è un termine coniato né da Fedez né da Ax ma da John Lennon negli anni settanta), Comunisti col Rolex è una geniale mossa di marketing. Non quanto la relazione tra Fedez e la Ferragni ma quasi. Dare un’occhiata ai featuring dei 16 brani è come scorrere la lista della spesa scritta da un ubriaco: non ha molto senso, ma c’è tutto.
L’obiettivo principale sembra infatti quello di fidelizzare i seguaci esistenti dei due autori, convertendo al contempo platee indistinte ed eterogenee di fan storicamente lontani dalla coppia. E infatti il vibrante ciuffo di Stash assorbe le seguaci dei The Kolors, la potenza vocale di Levante e la collaborazione di Calcutta fanno ciao all’indie italiano, la peculiare intonazione di Giusy Ferreri attira… i fan di Giusy Ferreri e probabilmente qualche commessa Esselunga, il vocione soul di Sergio Sylvestre e il caschetto alla Fantaghirò di Alessandra Amoroso strizzano l’ugola agli spettatori di Amici degli ultimi sette anni, Alessia Cara dà quel tocco di pop internazionale, Nek di tradizione emiliana che Giovanni Rana levate, Loredana Bertè di nostalgico rock misto a fattanza old school e Arisa ci ricorda che a X-Factor si è tutti amici soprattutto se la tua voce quando canti smette di ricordare il suono di una papera di gomma calpestata.
Però, però. Da questi furti a mano amata (per dirla con parole di Fedez), i due partner in crime si riscattano dimostrando di essere, ancora una volta, piuttosto abili nel serrato ping pong sintattico-concettuale che li ha sempre distinti. Comunisti col Rolex – che in copertina non poteva che raffigurare villoso pugno chiuso avvolto da indefinito modello d’orologio iper pacchiano con falce e martello che campeggiano, rossi, sul quadrante in oro – è un collettivo di sogni infranti e di speranze perse. È la satirica ammissione del tentativo fallito di noi tutti (incluso di chi l’ha scritto) di aderire ai valori che si tenta di professare. Una disincantata ode alla contraddizione insita nell’animo umano e all’incoerenza in ogni ambito: lavoro, amore, patriottismo, amicizia, dolore. Raccontata attraverso featuring furbescamente azzeccati e sì, qualche frase di (auto)denuncia particolarmente geniale. Che talvolta cela anche un significato. Per questo agevoliamo recensione panoramica e brillanti insights di ciascuno dei 16 brani.