Molte volte in questa rubrica ho palesato la mia quasi totale mancanza di fiducia nell’umanità. Sono molto sollevata perché da ieri sera posso tranquillamente rimuovere il quasi.
Ero lì su La7, certa che la maratona Mentana avrebbe regalato le consuete emozioni, un po’ meno certa della loro natura. Certa che il risultato sarebbe uscito molto prima del previsto, un po’ meno certa del fatto che la teoria del “via il dente” avrebbe svolto l’abituale funzione placebo. E infatti non era neanche mezzanotte che il leggendario Chicco, tra un insulto alla regia che non riusciva a inquadrare Travaglio (“è semplice, basta premere 7”), l’inevitabile ironia su Salvini (“credo si senta come Bruce Willis in un famoso spot”) e il palese sconcerto dinanzi alla ricettività cerebrale dei sondaggisti (su cui per carità non infieriamo che già fanno un lavoro utile come gli alzatacchi di Brunetta) dà il triste annuncio.
La giornata era partita in modo surreale, con Piero Pelù che gridava al complotto delle matite cancellabili senza sapere che si tratta di matite copiative, cancellabili sì su un foglio normale ma indelebili sulla scheda elettorale. A questo brillante “è il mio voto che cambia, nella forma e nel colore” si è poi accodata la protesta su Renzi che va a votare senza documento di riconoscimento, senza sapere che chiunque di noi potrebbe farlo, a patto che un membro del seggio possa riconoscerci e garantire la nostra identità. Nel pomeriggio Salvini se ne esce con un brillante “se non voti aiuti Renzi”, esplicativo di quanto contasse per lui il contenuto della riforma. Ed è proprio sulla scia del “senza sapere” e del “mandiamolo a casa” che, come tante pecore Dolly nutrite da un indigesto centrifugato di destra, sinistra e cinque stelle, sapientemente arricchito dall’irresistibile oppio dell'”andare contro sempre e comunque”, le persone sono andate a votare. E pure in massa.
Io ci avevo sperato. Ci avevo sperato perché dopo la Brexit e dopo Trump tutto era diventato meravigliosamente possibile, persino che gli italiani si informassero su cosa avrebbero dovuto votare, ragionassero con la propria testa e in modo apolitico. E invece, come con la Brexit (forse) e come con Trump (forse), ha vinto la scelta peggiore.
Forse. O forse no. Forse no, perché alla fine la bocciatura di questa riforma porta con sé un sacco di lati positivi e di cose bellissime. Innanzitutto, ma è un discorso molto personale, è bellissimo che mi salteranno una decina di deal a lavoro perché da settimane gli investitori esteri hanno bloccato i capitali in attesa del nostro referendum. Scrivendo via mail cose tipo “before investing we need to understand that Italy can change itself, do reforms, look forward, believe in its government and become stable, reliable, therefore profitable“. Se devo tradurre scrivetemi su whatsapp. Sì, l’Economist ha spinto per il No, ma l’ha fatto non perché ha le redattrici innamorate di Di Battista (cosa che sarebbe comprensibile), ma perché sperava per il nostro paese un governo tecnico, che ci rimettesse in riga (o in goniometro, per la precisione a 90°, dipende).
È molto bello anche che rimanga il CNEL. Un organo di cui nessuno fino a tre mesi fa era a conoscenza, che in 70 anni è riuscito ad avanzare ben zero proposte di legge costandoci appena 1 miliardo di euro e di cui avremmo infinitamente avvertito l’incolmabile mancanza.
È molto bello che rimangano saldi al loro posto tutti e 315 i senatori. Qui il tema è anche sociale: smettere di pagarli (perché avrebbero campato del loro stipendio di consiglieri regionali e sindaci), per l’esattezza smettere di pagarli circa 14,6mila euro netti al mese, bè, sarebbe stata una crudeltà immotivata. Qualcosa di sanabile solo con una serie di ospitate dalla D’Urso, in cui la famiglia disabile sfrattata dalle case popolari della Magliana dà loro istruzioni su come arrivare a fine mese.
È molto bello che rimangano anche i senatori a vita, con il loro prezioso contributo e le loro preziose pensioni, traghettati dall’altrettanto preziosa navetta parlamentare che persino Caronte riterrebbe inutile guidare dato che il destino delle leggi che vi transitano è inevitabilmente il fondo degli abissi.
Un’altra cosa molto bella è che per i disegni di legge d’iniziativa popolare continueranno a bastare sole 50mila firme anziché 150mila, ed è anche molto bello che il governo potrà continuare a esercitare il proprio diritto di ignorarle del tutto.
È soprattutto bellissimo vedere esultare Salvini, Brunetta, Bersani, De Mita, Claderoli, Gasparri, D’Alema, tutti straordinariamente uniti nella gioia di averla messa in quel posto a Renzi senza realizzare di aver fatto lo stesso al resto d’Italia. Sì, perché un’altra cosa molto bella è che si andrà al voto.
La domanda che mi pongo è: e chi cazzo voto? Non sono mai stata fan di Renzi, mai. Della sua imitazione by Crozza sì, moltissimo, di lui mai. Ma durante il suo (oggettivamente impeccabile) discorso post sconfitta ho ripercorso gli ultimi tre anni, e quelli prima, e quelli prima ancora. Ho proiettato i prossimi tre, e quelli dopo, e quelli dopo ancora, e sono abbastanza convinta che in un paese come il nostro fare peggio di lui sia parecchio, parecchio facile.
E dispiace, perché per una volta che va a votare il 70% degli aventi diritto, il 60% di loro lo fa a cazzo. Dispiace perché appena uscito il No sono magicamente rientrate tutte le teorie sul caso matitopoli. Dispiace vedere esponenti politici e giornalisti infierire contro Renzi ed esultare per averlo “mandato a casa”, dimostrando una maturità e un senso civico che neanche dopo l’annuncio dell’eliminato al Grande Fratello. Dispiace perché nel Gattopardo Tancredi diceva: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi” ma non considerava che non è valido il contrario. Che se vogliamo che tutto cambi, bisogna che qualcosa cambi.
Questo era “qualcosa”. Non il migliore, non il più giusto, non l’unico possibile. L’unico, però, finora riuscito ad arrivare fino a noi. Speriamo che il prossimo arrivi anche oltre, speriamo che ci superi, speriamo che mi faccia chiudere i deal con gli investitori esteri e soprattutto che mi permetta di ripristinare la mia totale fiducia nell’umanità. O quasi.