E Tu la Guardi la Pubblicità?

pubblicità

Nell’Italia di oggi, sono ancora poche le aziende che hanno coraggiosamente abbandonato il product branding per una pubblicità di tipo corporate. Il concetto di corporate branding rimane infatti ancora una concezione accademica quasi per tutti; d’altra parte, si tratta di un concetto molto recente.

Si è iniziato a parlare di corporate brand già agli inizi degli anni ’90, ma se n’è data concreta voce solo con la recessione economica. La crisi ha indotto un’offerta di prodotti sempre più simili tra loro per cui, per le aziende, è diventato difficile creare una differenziazione e costruire un vantaggio competitivo, sia sul piano delle prestazioni che su quello delle emozioni evocabili.

D’altra parte le aziende arrancano per ottenere risultati nel breve periodo sotto la sempre più incessante pressione dei dipartimenti di marketing e comunicazione che chiedono margini sempre più alti e tempi sempre più brevi. Risulta chiaro quindi che, in presenza di prodotti sempre più simili tra loro, e appartenenti alle stesse categorie, creare avanzi di gestione diviene una lontana aspirazione.

Ma se tutti i prodotti sono uguali, perché fidelizzarsi e non scegliere invece il più conveniente in termini di cartellino? Se questa eventualità si avverasse sarebbe la fine del concetto di marca intesa in quanto tale, perché essa non produrrebbe più valore. Se un marchio viene scelto per il suo prezzo stracciato e non per le associazioni felici e positive che provoca al cervello e “all’ombelico”, esso non sarà più un asset capace di creare ulteriore valore per la vostra azienda.

Questa sembrerebbe la fine della storia, ma purtroppo non è ancora tutto: a tale scenario va aggiunto che è sempre più difficile raggirare una clientela che conosce il prodotto, è aggiornata in tempo reale e può criticarvi o portarvi in cima alla “top ten” con i suoi velocissimi pollici opponibili.

Attenzione, perché questo tipo di cliente non è censurabile!

Il consumatore, sempre più aggiornato, pretende che anche i marchi siano aggiornati, magari più di lui, e sensibili agli eventi del mondo (da qui l’attuale, dilagante fenomeno del newsjacking). Alla luce di ciò, le aziende hanno recentemente capito che, per tornare in auge, non basta più pubblicizzare ciò che si vende, ma occorre vendere l’azienda stessa.

Da qui, la novità del corporate branding: è l’azienda nella sua interezza che in pochi secondi di spot pubblicitario, attraverso la propria cultura e i propri ideali si dimostra sensibile a problemi di interesse sociale. Dimostrarsi sensibili e far percepire la propria solidarietà ai consumatori, facendoli sentire capiti, permette all’azienda di posizionarsi in un luogo del mindset del consumatore dal quale sarà difficile spodestarla.

Da questo punto in poi, le mosse strategiche sono abbastanza in discesa. Un consumatore fidelizzato, che in una logica di “do ut des” premia l’azienda, sarà totalmente insensibile all’applicazione di premium price anche in periodo di crisi. Un esempio di corporate branding, senz’altro noto, ma che è bene ricordare, è stato realizzato nel 2013 da un’azienda che produce prodotti di bellezza e di cura del corpo. La campagna pubblicitaria è stata intitolata “Ritratti, sei più bello di quanto immagini”: lo spot mostra il celebre artista Gil Zamora intento a realizzare due ritratti per ogni persona che si trova di fronte.

Il primo ritratto, viene eseguito seguendo la descrizione che il soggetto fa di sé. Il secondo, viene realizzato sulla base della descrizione che uno sconosciuto fa, guardando al soggetto protagonista.

Confrontando i due ritratti, i risultati sono sorprendenti: la percezione da parte degli altri ci rende sempre più belli di quanto avremmo mai potuto esprimere. Il messaggio è che in un mondo dove siamo bombardati da inarrivabili modelli di bellezza, da copertine, dai social network, dalle pubblicità, tendiamo a sottovalutare la bellezza che c’è in noi stessi.

Tale campagna promozionale vuole ispirare e convincere che spesso si è migliori di quanto si creda. La marca non compare mai durante il video, se non in chiusura, e questo perché il brand si sta muovendo per una causa superiore rispetto al solo principio del “vendere”.

Vuole vendere un messaggio di speranza e di coraggio, creando nelle menti inconsce del consumatore un vissuto duraturo di valore.

Un altro esempio da ricordare, risale al 25 novembre 2017, in occasione della giornata contro la violenza sulle donne; trattasi di un video realizzato da una organizzazione di volontariato.

Dear Daddy, I know you already try harder than Superman…but I need to ask you a favor. Warning: It’s about boys”. Inizia così lo spot che ha come protagonista una giovane donna della quale si vedrà la nascita, l’adolescenza e l’età adulta attraverso i tipici insulti e abusi che una donna può ricevere nell’arco della vita.

Da qui comincia la lunga lettera che una giovane donna scrive al padre, ringraziandolo per l’amore e la protezione che giorno dopo giorno prova a darle, ma avvertendolo che spesso ciò non basta.  Lo spot si chiude con una preghiera: “Ogni azione porta a una conseguenza, quindi ti prego, ferma tutto prima che cominci; insegna l’amore e il rispetto già ai miei fratelli; fallo prima che il tempo passi”.

Ancora una volta stiamo assistendo ad una trasformazione dei modelli pubblicitari, sempre più volti a messaggi sociali che possano legarsi in maniera inscindibile al prodotto che si vuole pubblicizzare.

 

Angela Antonia Beccanulli

Communication Consultant

JECatt – Junior Enterprise Cattolica