Disposti a Tutto per Entrare nel Club: quando il Cinema si Interroga sull’Elitarismo

“Vivi per la spada, muori per la spada”Questo è uno dei motti dei soci del prestigioso Riot Club. Il film di Lone Sherfig, uscito in queste settimane nelle sale italiane con il titolo Posh, fa degli affiliati a questo club un ritratto spietato.

Il tema è il potere, un potere illimitato, che si acquisisce con l’ammissione  a questo circolo d’elite e che trasforma questi studenti di Oxford in“cattivi ragazzi” che disprezzano la middle class e i lavoratori, ostentando la loro secolare superiorità sociale.

Il vero nome del club è Bullingdon. Nacque intorno al 1780 come club sportivo dove si praticavano equitazione e cricket. Originariamente contava non più di una trentina di membri. Nel XIX secolo il club assunse una facciata più “mondana” ed elitaria. I giovani membri si dedicavano a lunghe cene animate sia dall’alcol che da discussioni di carattere culturale, godendo delle gioie della vita e dei privilegi della classe cui appartenevano. Questi incontri finivano spesso con denunce per ”schiamazzi” o per vandalismo, accuse che la maggior parte delle volte venivano ritirate.

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La parte centrale della pellicola di Sherfig è proprio lo svolgimento di una di queste cene: vestiti con elegantissimi frac (i colori ufficiali del club sono il blu e l’avorio), i protagonisti si dedicano ad una serata di puro divertimento, sempre nel rispetto delle secolari tradizioni del circolo, che prevedono enormi quantità di cibo e beveraggi nonché  una serie di giochi più o meno discutibili, fino ad arrivare al clou della serata: la distruzione completa del locale. Il proprietario, che ha risparmiato tutta la vita per aprire la sua attività e pagare le rette universitarie alla figlia, affronta i “terribili ragazzacci” e non accetta il denaro che gli offrono per risarcirlo. Al rifiuto dell’uomo si scatena l’ira del branco con un pestaggio che quasi lo uccide. Ne segue una denuncia e il film si chiude sul sorriso beffardo di uno dei ragazzi che, con il sottofondo musicale dell’inno God Save the Queen, sottintende che tutte le accuse verranno spazzate via grazie al potere di cui i membri del Riot Club dispongono.

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Sono in molti a  sostenere che la realtà superi di gran lunga la fantasia. Ma l’Inghilterra e l’America si stanno interrogando per la prima volta nella loro storia sull’elitarismo derivato dall’appartenenza ai club che spesso nasce proprio dai contesti accademici. Si parla spesso di loggia, di snobismo, e di disprezzo apertamente ostentato verso la gente comune, non proprio un’attitudine nella natura dei più riservati gentleman inglesi. Anche gli Stati Uniti con Gossip Girl e la Cina con China Girl si sono inchinati davanti al racconto, talvolta esagerato ed osannato dei giovani ricchi appartenenti ai club della New York e della Shanghai dell’eccesso. E il botteghino pare sempre sorridere a tali osannazioni: il film Posh è stato campione di incassi in diversi Paesi e la pellicola ad oggi ha superato i 100 milioni di euro di fatturato, per non parlare di China Girl che in Oriente conta già un seguito attesissimo e il miliardo di dollari come obiettivo smaccatamente dichiarato.

La distanza sociale è quindi sinonimo di successo cinematografico? Pare proprio di sì, considerando la totale mancanza di aderenza rispetto alla realtà spesso meno fortunata e meno elitaria dei giovani della nostra generazione.