Permettere agli individui di prendere in prestito per una giornata o solo per poche ore beni posseduti da qualcun altro, comportando un risparmio sostanziale per l’utente e la creazione di un ricavo su asset sottoutilizzati per i proprietari: sono questi i principi che sotto-intendono al modello della sharing economy. La moda portata in auge da servizi come UBER e Airbnb, oggi sta diventando sempre più un desiderio di sovvertire i modelli di consumo tradizionali. Le piattaforme collaborative attive oggi in Italia, secondo uno studio effettuato da Phd Media, sono 138, divise in 11 ambiti, tra i quali solo il 10% è oggi ricoperto dal settore turismo. Il nostro Paese, secondo un’indagine elaborata da Banca D’Italia «L’indagine campionaria sul turismo internazionale dell’Italia», risulta ad oggi essere il quinto paese al mondo per spesa turistica internazionale dopo USA, Spagna, Francia e Cina.
È in questo contesto in rapida espansione e durante l’anno di Expo 2015 che nasce Foody: l’home restaurant che si pone l’obiettivo di arricchire l’esperienza turistica internazionale nel nostro Paese. Noi di Smartweek abbiamo intervistato Elena Bisio, CCO (Chief Communication Officer), di Foody per scoprire con lei questa nuova realtà.
Elena, spiegaci meglio che cos’è Foody
Foody è una piattaforma web dedicata alla scoperta e alla rivisitazione delle tradizionali made in Italy. Dedicata a turisti stranieri che vengono in Italia e vogliono vivere un’ esperienza turistica totalizzante che consenta loro di conoscere il nostro Paese in tutte le sue sfaccettature e tradizioni locali. Tanti sono però anche gli italiani interessati al nostro servizio. Vogliamo dunque rivoluzionare l’esperienza turistica in Italia ponendo al centro di tutto la gastronomia italiana e le tradizioni culinarie locali. Le prime realtà di home restaurant, conosciuto nei paesi anglosassoni anche come social eating, sono nate nel 2009, ma è una realtà in veloce espansione soprattutto alla luce di quello che è tutto il filone della sharing economy: Uber, BlaBla Car, Airbnb. Foody vuole essere un po’ questo: un connubio vincente tra l’eccellenza del cibo italiano e l’home restaurant per creare quello che secondo noi è il tassello fino ad ancora mancante dell’economia condivisa.
Raccontaci come è nata Foody
Ci siamo conosciuti a febbraio 2015 durante InnovAction Lab, il primo corso in Italia che permette agli studenti universitari e neo laureati di comprendere come si fa a valutare il modello di business di un’idea e a presentarlo davanti agli investitori in maniera efficace. La prima cosa che ti insegnano a InnovAction Lab è :”punta la persona, punta al team perché sarà quella la forza del tuo progetto”. È così che è nato Foody: dal desidero di coniugare la nostra comune passione per il cibo con il modello dell’home restaurant.
Come funziona esattamente il vostro home restaurant?
La tavola secondo noi altro non è che il “sentirsi come a casa”ed è questo il valore su cui puntiamo molto. L’obiettivo lo abbiamo esplicitato chiaramente nella mission, che recita: “Places where food meets italian traditions and you feel at home”. Un cooker mette a disposizione la propria casa, prepara la cena e la condivide con perfetti sconosciuti. È il gioco della condivisione di esperienze e di approcciare uno dei gesti per noi più normali, il mangiare, in maniera totalmente innovativa. Il turista vive un’esperienza di cibo non solo da mangiare, ma anche da preparare e se le porta con sé quando torna a casa. Il nostro obiettivo è quello di utilizzare queste persone come influencer per esportare l’esperienza culinaria italiana all’estero.
I nostri cooker caricano sulla nostra piattaforma il loro menu ed il prezzo della cena, su quel coperto la piattaforma prende una percentuale. Vorremmo implementare il nostro revenue model attraverso partnership con produttori locali e sfruttando tutte quelle che sono le piattaforme di e-commerce dedicate all’ enogastronomia italiana.
Da chi è composto il team?
Il team di Foody è composto da quattro ragazzi tenaci, con quattro storie diverse e background altrettanto differenti: Simone Carratta, CFO, è laureando in Economia e Gestione delle imprese, Elena Bisio, CCO, laureata in Giurisprudenza, Francesco Chiaramida, CMO, è laureando in Marketing Management, Chiara Ricci, CTO & Art Director, una giovane Product Designer, ed infine l’ultimo arrivato in casa Foody, Matteo Marani, il nostro Web developer.
È difficile fare startup tra chi non si conosce?
Prima che iniziassero i seminari abbiamo organizzato tutta una serie di aperitivi per conoscerci. Inizi a parlare con le persone, a capire con chi potresti avere una sintonia, con chi condividi degli interessi. Di solito c’è la corsa all’ingegnere informatico, ma sicuramente la multidisciplinarietà è fondamentale perché ti dà la possibilità di un confronto a 360 gradi. Noi abbiamo preferito puntare tutto su questo fattore: sulla multidisciplinarietà delle persone e non basarci unicamente sul background e sulle competenze. Certo fare startup con chi non si conosce non è facile, soprattutto all’inizio. Io sono stata fortunata, perché se non si fosse creata l’unione che oggi abbiamo, Foody non ci sarebbe. La cosa che a mio avviso rende solido un team è la possibilità di confronto, sia in negativo che in positivo, e di accettazione dello stesso. Bisogna imparare soprattutto a saper ascoltare gli altri e farne tesoro.
I prossimi passi?
L’avvio di Foody ce lo stiamo autofinanziando. La nostra più grande soddisfazione è non aver ancora speso un euro di advertising online: ci stiamo dimostrando bravi nell’acquisition. Ma da qualche tempo abbiamo in casa Foody un nuovo componente del team, Matteo, che si occuperà dello sviluppo della piattaforma nella versione beta grazie alla quale avremo la possibilità di capire bene come implementare quella definitiva ed ufficiale. Al momento ci servono 130.000€ da investire da oggi fino a dicembre 2016. L’home restaurant ha bisogno di una forte consulenza legale, finanziaria ed assicurativa.