Gli Scacchi e a Politica dei Dazi di Trump

Nel gioco degli scacchi esiste una mossa che viene definita dell’“immortale”, consiste nel sacrificare una serie di pedine importanti per poi riuscire a dare scacco matto all’avversario con i pezzi minori rimasti.

La partita che stà giocando in queste settimane l’amministrazione americana sulla scacchiera del commercio internazionale, sembra ripercorrere le mosse del giocare spregiudicato, che senza apparente strategia, espone a rischi le proprie pedine incurante delle possibili contro mosse dell’avversario.

La bilancia commerciale degli Stati Uniti presenta, in effetti, un deficit enorme, che si è andato tendenzialmente ad incrementare a partire dagli ultimi 30 anni.

Ma la “mossa” dei dazi doganali che la Casa Bianca ha avviato nei confronti della Cina, sembra trascurare una serie interessi economici statunitensi, che rischiano di venire compromessi da una guerra tariffaria tra i due Paesi. Innanzitutto è necessario precisare che i dati della bilancia commerciale non considerano i prodotti direttamente fabbricati e venduti in Cina da parte di aziende americane. Emblematico, è il fatto che vi siano oltre 300 milioni di iPhone prodotti e venduti in Cina che non rientrano in queste statistiche ma che contribuiscono al conto economico di Apple. Considerando solo il flusso di esportazioni ed importazioni si rischia dunque di avere un’immagina distorta delle relazioni tra i due paesi, che sono maggiori di quelli che appaiono nella bilancia commerciale.

I rapporti di forza tra le due economie assumono connotati diametralmente opposti se consideriamo che la Cina detiene oltre il 5% di tutto il debito pubblico americano e che questa posizione si è gradualmente costituita negli ultimi 10 anni in concomitanza della crescita del debito ed in sostituzione del rallentamento della domanda da parte di altri Paesi.

La Cina ha dunque sostenuto l’emissione dei titoli di stato americano nel momento in cui gli Stati Uniti ne avevamo probabilmente maggiormente necessità, e cioè a partire dalla crisi del 2008 ed è dunque lecito ritenere che uno dei principali rischi per la stabilità economica e finanziaria degli Stati Uniti possa provenire dalla riduzione o l’interruzione delle operazioni di acquisto di Treasuries da parte della autorità di Pechino.

Bastano queste considerazioni per rendersi conto che gli Stati Uniti stanno attuando una politica rischiosa soprattutto se non supportata da una strategia di lungo periodo che valuti tutte le possibili reazioni ed implicazioni. Ma anche in questo scenario, l’idea di dare “scacco matto” a un partner commerciale e finanziario così importante, sarebbe comunque controproducente e dunque poco efficace.

Probabilmente, per concludere sempre con gli scacchi, quella di Trump sembra più un’apertura a “Gambetto” e cioè una mossa che con il sacrificio di alcune pedine consente di guadagnare spazio e tempo per lo sviluppo della strategia di gioco; l’arte di negoziare che è forse la principale qualità sin qui dimostrata dal presidente americano.