Google Accusata di Discriminazione a Danno delle Donne

Lo scorso gennaio, il Dipartimento del Lavoro (DOL) degli Stati Uniti ha citato in giudizio Google. Il motivo? Pare che il gigante del tech non stia rispettando le regole di conformità sul lavoro stabilite dal governo. Se fino a ieri, però, nessuno sapeva quali fossero le leggi trasgredite dall’azienda di Mountain View, le indiscrezioni trapelate dal The Guardian sembrano confermare una sconvolgente verità: si tratterebbe di disparità di compensazione a danno delle donne.

Durante l’udienza che si è tenuta il 7 aprile, infatti, Janette Wipper, responsabile del Dipartimento, ha mostrato al giudice diverse prove che sembrano dimostrare come, negli ultimi anni, Google abbia pagato le sue dipendenti meno dei corrispettivi impiegati maschili.

Inoltre, Janet Herold, responsabile dello studio legale del DOL, in una dichiarazione rilasciata per il quotidiano, ha aggiunto:

La risposta del gigante del tech non è tardata ovviamente ad arrivare: “Non siamo d’accordo con le accuse presentate da Wipper alla corte”. Al comunicato stampa sono stati anche allegati dati riguardanti l’ultima analisi del personale, dove sembra non apparire alcuna prova che confermi il divario retributivo tra uomini e donne.

Lo statement rilasciato dalla società californiana non ha però fermato i sospetti. Sospetti che sono stati rafforzati dal tweet che, non a caso, è apparso sul profilo Twitter di Google tre giorni prima dell’udienza:google

Altra nota che non depone a favore di Google è il non voler fornire la lista dei dipendenti e le informazioni contenute nei contratti degli stessi al Dipartimento. Anche se i legali della società di Mountain View hanno giustificato la negazione al DOL come un tentativo di protezione della privacy degli impiegati, la strategia finora adottata non sembra convincere il giudice e nemmeno l’opinione pubblica.

Se fino a ieri poche erano state le cause che avevano intaccato il gigante del tech, questa sembra stia portando scompiglio all’interno di Google. Scompiglio che di certo non fa che aumentare lo scontento di quel 31% di forza lavoro femminile impiegata in azienda.