Parecchi economisti si sono cimentati nel capire quali fossero le determinanti dei cicli economici. Sulla ciclicità del sistema capitalistico non ci sono dubbi, è intrinseco al sistema, ed è basato sull’andamento altalenante del profitto, altra cosa è capire quando e di chi ha in mano la “pistola fumante” per finire un boom economico.
Le ragioni della crescita sono già più facili da identificare perché sono determinate da scelte di politica economica, mentre, poichè nessun operatore vuole la decrescita e i boom economici non muoiono di vecchiaia, vi è qualcuno che opera nell’ombra. Il giallo si fa interessante e i responsabili del delitto (uccisione del boom) sono sempre rimasti nell’ombra. Negli ultimi quarant’anni ci sono state quattro recessioni: anni ottanta, inizio anni novanta, 2001 e 2008. Tutte presentano gli stessi sintomi: contrazione del Prodotto Interno Lordo, declino degli scambi commerciali e crollo dei mercati finanziari. Una novità ulteriore, dal 1975 si sono intensificate le crisi bancarie: una media di tredici paesi all’anno ne hanno vissuta almeno una.
La causa è stata, sicuramente, la deregolamentazione dei sistemi bancari e la mancanza di vincoli dei flussi di capitali a livello globale. La situazione attuale non è cambiata infatti l’ammontare dei crediti in sospeso è di 30 mila miliardi di dollari, leggermente inferiore ai 35 mila del 2008 ma tuttavia enormemente superiore ai 9 mila miliardi del 1998. La turbolenza è sempre in agguato. Dal 2008 per uscire dalla crisi, tutte le banche centrali hanno avviato un “bazoka” di politica monetaria, non solo tassi interessi a zero ma anche acquisto di titoli governativi in possesso al sistema bancario per avviare da parte di quest’ultime una politica di crescita del credito al sistema produttivo.
Gli effetti si sono visti ed ora siamo con un Paesi emergenti che hanno quadruplicato la loro posizione debitoria in dollari. Le aziende cinesi detengono un debito pari a 450 miliardi di dollari, mentre nel 2009 era pari a zero. Non è invidiabile il ruolo del presidente Jerome Powell della Federal Reserve, che si trova a muoversi tra l’incudine e il martello.
Dal 2015 ha iniziato ad aumentare lentamente il tasso d’interesse, seguita anche dalla banca centrale inglese nel 2017 e tra poco finirà anche il quantitative easing della BCE. L’innalzamento dei tassi americani ha comportato un rafforzamento del dollaro e di conseguenza problemi per il rifinanziamento o rimborso del debito dei paesi emergenti (tra l’incudine e il martello). Per ora il contagio è sotto controllo con qualche sofferenza della Turchia ed Argentina. Se le banche centrali si faranno da parte per gestire il rallentamento economico, non resta che una politica fiscale espansiva.
Qui cadiamo dalla pentola alla brace giacchè Trump ha già sparato la propria cartuccia (riforma fiscale) e l’Europa naviga senza skipper, mentre la Cina ha altre priorità da gestire. Una cosa è certa, nella situazione economica internazionale attuale: non scopriremo anche questa volta sicuramente chi sarà l’esecutore materiale dell’omicidio del boom economico, ma con altrettanta certezza, anche in questo caso, il sicario opererà nel buio, tuttavia rimane certo che il boom attuale non morirà di vecchiaia.