I Governi Faranno un Takeover sui Bitcoin?

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Sono passati nove anni, era il 2009 quando Satoshi Nakamoto ha inventato una nuova valuta: il BITCOIN. Sino ad oggi, ci sono 24 milioni di portafogli Bitcoin attivi in ​​tutto il mondo. Il valore di un singolo bitcoin è cresciuto da circa un dollaro nel 2011 sino 19.700 dollari a fine 2017. Anche se oramai conoscerete bene le caratteristiche di questa criptovaluta è bene ricordarle, ci saranno di aiuto per la comprensione dello scenario che racconteremo: le transazioni avvengono Peer to Peer (da utente a utente), in maniera istantanea e senza costi; non è emesso e governato da una Banca Centrale, non è replicabile e rende le transazioni totalmente sicure tra utenti. Tuttavia la conseguenza più importante è la sua natura deflazionistica. Riguardo a questo aspetto, è bene che facciamo qualche considerazione. Avrete sentito annunciare molte volte in questi anni la volontà delle Banche Centrali di raggiungere almeno un tasso minimo d’inflazione del 2%.

Cerchiamo di capire cosa comporta avere un tasso d’inflazione e perché è così importante!

Con lo stesso ammontare nominale di moneta ma con i prezzi che sono saliti del 2%, potrete acquistare meno beni. Chiaro quindi che le monete tradizionali sia meglio spenderle il più velocemente possibile piuttosto che tenerle ”sotto il materasso”. Nella sostanza le Banche Centrali ci invogliano a utilizzare subito la moneta per sostenere consumi e investimenti, il vero motore del modello capitalistico. Viceversa, quando i prezzi scendono o rimangono stabili è più utile aspettare prima di spenderle poiché con lo stesso ammontare nominale di moneta possiamo acquistare maggiore quantità di beni e servizi. Le Banche Centrali governano il sistema aumentando oppure diminuendo la quantità di moneta in circolazione. Per il Bitcoin questo meccanismo appena descritto non funzione perché non c’è una Banca Centrale e la quantità in circolazione è fissa. Ritengo che coloro che avessero pagato la pizza nel 2011 con i Bitcoin l’abbiano digerita molto male guardando nel 2017 quanto valeva il bitcoin (19,700 dollari). La motivazione di questi valori sta nel fatto che è impossibile copiare i Bitcoin , tuttavia resta sempre fattibile che qualcuno possa copiare l’idea del Bitcoin.

Infatti  il successo dell’idea Bitcoin ha creato competizione: sono più di 1400 le criptovalute che sono nate in questi nove anni. Bisogna evidenziare in ogni caso che Bitcoin ha una posizione dominate con una capitalizzazione che è circa tre volte superiore ad Ethereum, suo concorrente più vicino.

Quali conseguenze ci sarebbero se non un soggetto qualunque privato, ma una Banca Centrale provasse ad emettere una propria criptovaluta ?

Questa domanda se la sono chiesta anche un ricercatore della Federal Reserve Bank di St. Louis e uno studente dell’Università di Yale.

A quali riflessioni sono giunti?

Hanno simulato che la Federal Reserve Bank  emettesse una criptomoneta denominata Fedcoin: ogni singola banca del sistema sarebbe responsabile delle transazioni convalidando ogni blocco (blockchain) e poi lo invierebbe alla Fed, la quale come arbitro finale farebbe da controllore e renderebbe pubblica la blockchain, il registro.

Per usare i Fedcoins, le persone dovrebbero mostrare una prova di identità e creare un portafoglio con la Federal Reserve Bank o una banca affiliata, a quel punto potrebbero acquistare la nuova valuta con dollari in un rapporto uno a uno. Uno schema come questo potrebbe funzionare e alla fine comporterebbe la lenta scomparsa del denaro fisico.

I due ricercatori sostengono: “quando le persone capiranno che è più semplice rispetto l’uso del denaro contante, quando le aziende si renderanno conto che è più economico delle carte di credito e quando le banche si renderanno conto che è più sicuro, il Fedcoin diverrà uno standard”.

Dalla ricerca di stampo accademico passiamo a qualche simulazione pratica: la Banca del Canada nel 2016 ha voluto sperimentare una blockchain simile a quella di Ethereum. Il risultato è stato una maggiore efficienza della blockchain soprattutto perché le transazioni erano validate da una Banca Centrale anziché dalla rete peer to peer, come attualmente avvengono con Bitcion.

Questa efficienza potrebbe comportare risparmi importanti nei termini di commissioni e aggio (la differenza in più tra il valore nominale e quello effettivo o di cambio della moneta legale di uno stato oppure di un titolo) nei trasferimenti monetari. In questo senso la Bank of England ha calcolato che utilizzare anche parzialmente la tecnologia blockchain-criptovalute, nel 2016, avrebbe comportato un aumento del PIL del 3%.

Il minore utilizzo del contate renderebbe, inoltre, più semplice per i governi l’attuazione della politica monetaria. Non sorprende che ogni grande banca centrale al mondo abbia una squadra che guarda alle possibilità di passare a una valuta cripto-nazionale basata su blockchain. La mia impressione è che le Banche Centrali stiano seriamente impegnandosi nello studio e applicazione di una cripto valuta con le caratteristiche sopra descritte, ma che tutto ciò sia molto diverso dal Bitcoin, il quale non è una valuta ma piuttosto una commodity, che per caratteristiche proprie ha come obbiettivo quello di conservare o crescere di valore in periodi d’inflazione. Staremo a vedere cosa succederà quando la tanto desiderata inflazione arriverà! E ricordiamoci un vecchio detto:

E le fenici (leggi Bitcoin), quando è arrivato il momento di morire, prendono fuoco… e poi rinascono dalle loro stesse ceneri.”.