A partire dalla seconda guerra mondiale, il dollaro americano ha assunto il ruolo di riserva valutaria mondiale, facendo leva sulla forza e sulla credibilità che gli Stati Uniti assunsero a livello internazionale, pur considerando le valute concettualmente uguali per le funzioni che svolgono in un sistema economico, il dollaro americano è diventato la “prima tra gli uguali”, per la caratteristica di essere l’unica ad essere accettata da tutte le Nazioni sia come mezzo di scambio che come riserva di valore. Ciò comportò la nascita di due tendenze che da allora permangono nel sistema economico globale: la prima è che la FED ha assunto il ruolo di “banca centrale del mondo”, essendo diventata il prestatore di ultima istanza verso le altre banche centrali; la seconda è che il grande “credito” della propria valuta, consentì agli Stati Uniti di espandere con leggerezza i c.d. deficit gemelli (deficit statale e deficit della bilancia commerciale). Questo era possibile poiche gli Stati Uniti potevano contare sul rientro di gran parte dei dollari spesi in giro per il mondo, sia attraverso il deposito presso la FED, sia tramite l’acquisto di Titoli del tesoro americano. Il sistema è sempre stato semplice ed ha sempre funzionato, ma ci sono una serie di elementi che potrebbero far pensare che qualcosa si possa rompere.
Negli ultimi dieci anni stiamo assistendo ad una importante riduzione delle riserve che il resto del mondo detiene presso la FED, derivante probabilmente non tanto da un calo di fiducia verso gli Stati Uniti, quanto dal cambio degli interlocutori. Mi spiego meglio, infatti, fino a poco tempo fa, l’America esportava gran parte dei dollari verso paesi “amici” (in sostanza comprava prodotti e servizi pagando in dollari), con cui vigeva un tacito accordo che questi Paesi reinvestivano una parte dei dollari in titoli di Stato americano, da qualche anno a questa parte il principale interlocutore americano è diventata la Cina.
La Cina è intenta a costruire il suo “impero” e non può permettersi di impiegare i dollari del suo surplus commerciale investendo in titoli di stato americano che rendono meno del 2%, viceversa li impiega per comprare petrolio, oro, rame per poi costruire infrastrutture.
E’ dunque evidente che questa situazione crea dipendenza per la crescita cinese al dollaro americano e rappresenta un’altra prospettiva per inquadrare la recente disputa sul disavanzo commerciale con gli Stati Uniti. In altri termini, quando Trump afferma “America first”, i cinesi interpretano un messaggio del tipo: “non avrete più i nostri dollari”.
Stando così le cose, la Cina per costruire un “impero” non può certo pensare di farlo con una valuta altrui. Infatti le autorità cinesi in tale direzione si stanno muovendo da tempo, attraverso una serie di graduali liberalizzazioni nell’ambito finanziario che hanno l’evidente scopo di far prendere confidenza al resto del mondo con la propria valuta, il Renmimbi. A parte l’apertura ai mercati obbligazionari, merita citare la recente possibilità di contrattare Oro attraverso futures sulla borsa di Shanghai direttamente in Renmimbi. Un modo molto semplice per informare i fornitori di materie prime sul fatto che, da oggi, possono tranquillamente accettare il Renmimbi (anziché dollari) come mezzo di scambio per le loro importanti materie prime, potendo poi negoziarlo nell’acquisto della valuta per eccellenza e cioè l’oro. Tra l’altro, tra i principali fornitori di materie prime vi sono Paesi, come Russia ed l’Iran, che non possono certo annoverarsi tra gli amici dell’amministrazione americana e che molto probabilmente sarebbero molto disponibili nel dare un freno all’egemonia del “re dollaro”. Xi Jinping ha indicato la strada della politica estera cinese quando ha iniziato a parlare della “via della seta”, una iniziativa su cui la Cina ha destinato fino ad oggi il suo surplus commerciale. Possiamo immaginare che non abbia intrapreso questo impegnativo progetto di infrastrutture se tutto il commercio che lo attraverserà dovesse essere denominato in dollari americani.
I “ruggenti anni venti” è la locuzione che indica una specifica epoca del XX secolo, caratterizzato da una grande espansione industriale e dalla nascita di mode e tendenze che hanno influenzato ogni aspetto del costume e dell’arte del tempo. A cento anni di distanza è realistico pensare che guardando verso Est potremmo trovare qualcosa di simile e magari altrettanto affascinante.