Nel panorama degli scrittori italiani, Gianrico Carofiglio si annovera tra i più amati: dopo il brillante esordio con Testimone Inconsapevole, ha infatti appassionato il pubblico con le vicende dell’avvocato Guerrieri e del maresciallo Fenoglio, e non solo. Ha vinto numerosi premi letterari, forse anche grazie alla sua esperienza di magistrato e all’impegno parlamentare, che hanno fornito i contenuti per i suoi libri.
Noi di Smartweek siamo riusciti ad intervistarlo grazie all’iniziativa di Bocconi di Inchiostro nell’ambito delle attività “Arts and Humanities” in Bocconi, dopo l’uscita del suo ultimo libro Le tre del Mattino.
Leggendo un’intervista che ha rilasciato, sono rimasta stupita nel leggere che la spaventa chi affronta l’essere magistrato come una missione: potrebbe chiarire i rischi che riscontra in tale atteggiamento?
“In generale io sono spaventato da tutti coloro che fanno qualcosa come se fosse una missione perché implica di essere convinti di essere missionari e ciò significa essere convinti di essere portatori della verità e questo è molto pericoloso e porta a calpestare le verità altrui. È molto più sano fare i lavori delicati e importanti come il magistrato, ma in realtà qualsiasi lavoro, coltivando la dote più importante secondo me in questi ambiti, che è quella del dubbio, esattamente l’opposto di quella che è l’attitudine mentale del missionario. Infatti è una regola, che difficilmente ho visto smentita: tutti quelli che sono animati da spirito di missione, prima o poi fanno dei danni catastrofici, mentre invece il modo più nobile, etico ed efficace è il praticare il dubbio sulle proprie intuizioni e il rispetto degli altri e delle loro opinioni”.
Oltre al dubbio, uno dei suoi punti di forza è stato l’ascolto…
“Molti credono che la capacità di ascoltare gli altri sia una dote passiva, invece è una formidabile azione, è un’attività attiva, se mi passa l’espressione, perché capisci quello che ti sta attorno, acquisisci elementi su come regolarti, capisci il punto di vista altrui e puoi essere efficace e rispettoso al tempo stesso, in tutti i campi. L’atteggiamento aggressivo invade lo spazio dell’altro, riduce la sua capacità di darci informazioni utili, lo mette in una posizione antagonistica perché si sente minacciato e quindi non è mai una buona idea, neanche in una situazione di conflitto. Avere un’avversario non irrigidito nell’antagonismo è sempre meglio”.
Perché ha lasciato la magistratura per scrivere?
“Bisogna capovolgere la domanda, e chiedersi come mai un ragazzino che voleva fare lo scrittore si è trovato a fare il magistrato per tanti anni, senza scrivere una parola. Non c’è una risposta, forse un principio di risposta si trova nel mio ultimo libro perché uno dei temi è legato al talento e alla paura di seguirlo: ci si sente combattuti tra il desiderio di realizzarlo e la paura di non esserne realmente capace, costa sacrificio il rischio e per questo per tanto tempo ho rinviato, indugiato”.