In One On One, ultimo film di Kim Ki-Duk presentato a Venezia 71 (dal 28 agosto nelle sale italiane), originale non è tanto il tema della violenza (tipico del cinema coreano), quanto la prospettiva di respiro globale con cui per la prima volta il tema viene sviluppato dal regista. Kim Ki-Duk, infatti, non si limita a raccontare i soprusi perpetrati dal governo nei confronti dei cittadini di un determinato paese, ma rappresenta la violenza come elemento strutturale del XXI secolo, come dittatura nella sfera pubblica e privata di qualsiasi tessuto urbano. La violenza è l’ATP del metabolismo sociale del mondo in cui tutti oggi viviamo.
Fra tragedia e commedia, Kim Ki-Duk sintetizza questo concetto servendosi della metafora dell’acquario. In un acquario, anche le creature più microscopiche, apparentemente insignificanti, possono mimetizzarsi, cambiare colore, sfoderare all’improvviso creste di aculei velenosi o impensabili zanne abbastanza affilate da sbranare ciò che di vivo passa loro vicino; ciò che, di norma, viene ritenuta la vera minaccia; il pesce alfa, quello ‘dalla testa di serpente’; ma la dimensione non conta, non stabilisce chi è più debole o chi è destinato a non soccombere: tutti i pesci sono elementi mobili e mutabili che condividono lo stesso liquido al di fuori del quale, per loro natura, non possono sopravvivere. Tutti i pesci hanno fame, vogliono la loro fetta di torta, la loro porzione di piacere e ricchezza; nell’acquario, però, le risorse edibili si disgregano, i pesci stessi diventano produttori attivi o passivi della corruzione dell’ecosistema che necessariamente li include, e la fame si trasforma in rabbia ingiustificata, da rivolgere senza pietà verso un bersaglio qualunque.
La rabbia senza spiegazioni, latente o non latente, è quella più pericolosa; rabbia da trangugiare a tutti i costi; rabbia da smaltire, da metabolizzare al più presto, come una Wok Box scippata al takeaway, e non ‘allentando il passo e addolcendo la voce’ come Seneca prescrive nel De Ira (III, 13): in tempi di crisi economica – o meglio, ecosistemica – forse è inevitabile che la velocità acquisti maggior valore rispetto alla riflessione.
Senza pensarci troppo, agendo in difesa di un fantomatico ‘bene comune’ e animati da un desiderio di rivalsa fumosamente variegato, un gruppo di pesci piccoli decide di vendicare una ragazza – soffocata con un rotolo di scotch nero il 9 maggio – rapendo e torturando i pesci grossi, gli agenti governativi responsabili dell’omicidio, inscenando ogni volta un interrogatorio con telecamere false e un eclettico arsenale di armi vere: ‘Scrivi su questo foglio bianco cosa hai fatto il 9 maggio, o ti faccio la festa’, sbraita il capo della banda dei looser – interpretato da Ma Dong-Seok – gonfiandosi nel suo logoro piumino della Puma.
Questo bullismo fai da te, oltre a moltiplicare gli atti di violenza, non innesca nessuna concreta e consapevole ribellione – né (figuriamoci) una rivoluzione – ma alimenta un cortocircuito di senso di colpa tale per cui non è più possibile distinguere il responsabile di quella violenza che si vorrebbe vendicare. Chi sono i veri looser, gli scarti della società? Pesci grossi e piccoli si distinguono per un orologio firmato o tarocco, ma rimangono avviluppati dal medesimo rotolo di scotch nero, nel tentativo di divorarsi a vicenda.
Kim Ki-Duk in un’intervista ha affermato di aver scritto One On One per ‘riconoscere la violenza, darle spazio e, infine, svuotarla’; e di ‘sentirsi complice di quella violenza, come gli attori del suo film’. Attori che – proprio come i pesci dell’acquario – cambiano abito; il travestimento, però, non li rende meno complici della corruzione, di cui il foglio bianco del 9 maggio è emblema: che uno si vesta da netturbino, soldato o monaco buddhista, cambia poco ai fini del ritmo metabolico imposto dall’acquario. Lo spiega l’immagine finale: una mazza ferrata gocciolante sangue oscilla sulle montagne innevate di Seoul.