La Brexit e la Sindrome di Stoccolma

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Quello che siamo stati costretti ad apprendere molto rapidamente in quest’epoca di così detta “ globalizzazione” è che il libero mercato ha l’incredibile capacità di sostenersi autonomamente, imponendo ordine e rispetto alle sue silenti regole non scritte.

La distinzione tra buono e cattivo, giusto o sbagliato che questo insindacabilmente matura, prescinde dal concetto di giustizia comunemente accettato e si discosta pertanto dalla naturale e istintiva valutazione di valenza sociale. L’esempio più eclatante resta la liberazione di Nelson Mandela che pur rappresentando una tardiva riparazione ad un’ingiustizia, venne accolta dai mercati con una svalutazione del rand del 20% in pochi giorni, borsa a picco e fuga delle multinazionali dal Paese.

Non si può fare a meno di constatare che una volta che un Paese si è aperto ai suoi capricci ogni scostamento dall’ortodossia viene immediatamente punito da regole semplici,dure ed equivalenti a grugniti monosillabici: “cambiamento” costoso, vendere – “status quo“ sicuro, comprare.

Come di riflesso non si può non essere coscienti del condizionamento da questo indotto nella società,tanto da portarla a maturare nel tempo una sorta di sindrome di Stoccolma nei suoi confronti. Proprio quest’aspetto, riconducibile ad un particolare stato di dipendenza psicologica e frutto del risultato distorto di una naturale reazione dell’istinto di sopravvivenza, se applicato all’ormai imminente referendum sulla permanenza inglese nell’UE, offre una chiave di lettura a dir poco paradossale visto che la sindrome in questione trae origine da una rapina e un sequestro; probabilmente lo stesso stato in cui si sentono diversi cittadini appartenenti all’Unione Europea.

Anche se a favore della permanenza in UE dell’Inghilterra si è schierato il Ghota delle istituzioni internazionali, tutte pronte a presagire scenari apocalittici in caso di esito favorevole al referendum, quello che dovrebbe contribuire a rassicurare chiunque sia ad esso avverso, dovrebbe anche essere la coscienza del legame indotto da questo stato, che cementa il rapporto tra vittima e carnefice, creando un equilibrio per tutti rassicurante, per quanto precario.

Il referendum nella patria che ha dato i Natali al capitalismo assume un ruolo decisivo per l’intera Comunità Europea proprio perché questi concetti sono pienamente assimilati dal suo popolo quale parte integrante del proprio DNA. Se questo dovesse decidere di rompere un equilibrio, rinnegando la politica del “compromesso capitalista” che gli ha permesso di assurgere a guida sociale ed economica del mondo occidentale, significherebbe davvero essere all’inizio di nuova Era di cui dovremmo inizialmente sopportare i costi, ma che si rivelerebbe a lungo andare ancora una vittoria del capitalismo, quale fulgido esempio di quella che Schumpeter definisce “distruzione creatrice”.