Con Titanic è stato un colpo di fulmine. Eravamo reduci dall’exploit shakespeariano in Romeo + Juliet e ce lo siamo ritrovato lì: poco più che ventenne, asso del poker, squattrinato, artista, con uno spiccato talento per la scatarrata a distanza e un’improbabile bretella color cachi. Poi è cresciuto, e con un incredibile processo di maturazione artistica, passando per maschere di ferro e malavita newyorkese, ci ha fidelizzato (per non dire ammaliato, per non dire rapito) con una serie di pezzi da novanta a raffica negli ultimi cinque anni: Shutter Island, Inception, Django, Great Gatsby, The Wolf of Wall Street. Quello che non si sa, però, è che c’è un ruolo che Leo ha desiderato interpretare fin dai tempi in cui ce l’hanno fatto morire assiderato per colpa di quella pseudo aristocratica arroccata sull’asse di legno. È dal lontano 1997, infatti, che il nostro eroe palesa curiosità e interesse per una parte che l’ha visto concorrere con soggetti del calibro di McConaughey, Pitt, Depp, Penn e Cusack. Un ruolo intricato, intenso, pesante. Forse la più grande sfida che si sia mai trovato ad affrontare.
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