La Pluralità del Capitalismo e la Ricerca di una “Terza Via”

Il capitalismo non è uno e assoluto. In letteratura si parla tradizionalmente di due modelli di capitalismo: anglosassone e renano. Dicotomia assunta a notorietà, nei primi anni Novanta, in seguito alla pubblicazione di uno studio di Michel Albert, Capitalismo contro Capitalismo (1993), sulle caratteristiche istituzionali ed economiche del capitalismo negli Stati Uniti e nei paesi anglosassoni in genere, quasi ad evocare l’immagine di “una Banca che si inchina alla Borsa” e di un “manager che si inchina all’azionista”. In tali paesi l’assetto delle imprese è caratterizzato dalla netta divisione fra proprietari (azionisti privati, fondi di investimento, fondi pensione, imprese di assicurazione) e manager. Il ruolo degli azionisti nella gestione dell’impresa è sostanzialmente anonimo ed essi sono interessati solo al flusso di cassa che l’impresa è in grado di produrre (interessati solo a quel celebre VAN degli investimenti).

Al contrario, ai manager è affidata l’effettiva gestione delle imprese; i loro obiettivi, però, possono essere profondamente diversi (a volte, addirittura in contrasto) da quelli dei proprietari: successo professionale, prestigio, massimizzazione dei propri stipendi, semplice sopravvivenza dell’impresa ecc. (agency problem). I conflitti fra azionisti e manager sorgono, vista la divisione dei compiti e i diversi obiettivi, nel momento in cui i primi vedono minacciati i loro diritti di proprietari. Da qui nasce la paura di acquisizione ostili, l’ossessione del breve periodo che conduce a strategie aziendali spesso distruttive.
L’organizzazione e la gestione delle imprese nell’ambito del modello di capitalismo anglosassone sono diametralmente opposte a quelle riscontrabili nel modello di capitalismo renano. Quest’ultimo fondato su quella mezzadria tra pubblico e privato che è l’economia di mercato, su il consenso e le prospettive a lungo termine, così come è praticato in Germania e altri paesi del Nord Europa, con varianti, in Giappone. Nel modello in esame la proprietà della grande impresa è condivisa da azionisti formati da:

— grandi banche;

— società di assicurazione;

— fondazioni legate alle imprese;

— fondi collegati ai dipendenti o ai sindacati.