La Prossima Crisi Arriverà dal Continente Africano ?

All’inizio degli anni ’90 il debito del Continente africano aveva raggiunto livelli insostenibili, ciò che lo rese tale non era l’ammontare, quanto invece che circa il 25% dei loro bilanci statali serviva per pagare gli interessi. La situazione era talmente preoccupante che nel 1996 al meeting del G7 (i sette Paesi più industrializzati) si proclamò la cancellazione di circa 85% del debito e degli interessi dei paesi poveri.

Operazione di valenza morale e necessaria ma, come vedremo, insufficiente in mancanza di una visione politica futura.

Tutto ciò consentì ai Paesi africani di tirare un “sospiro di sollievo” e di potersi presentare nuovamente nel mercato internazionale dei capitali per raccogliere denaro che sarebbe stato concesso dagli organismi del Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale solamente a fronte di investimenti vincolati e a condizioni molto rigorose.

La situazione era rientrata sotto controllo ma, nel frattempo, è arrivata la crisi del 2008, come l’abbiamo raccontata in altre occasioni, le Banche Centrali dei maggiori paesi industrializzati hanno deciso di abbassare i tassi d’interesse a livello zero e di riversare sul mercato dei capitali una grande quantità di denaro con l’acquisto da parte dei Governi del loro stesso debito (Quantitative Easing).

Le banche commerciali e d’investimento dei maggiori Paesi industrializzati si sono liberate dei titoli di debito governativi e con la liquidità hanno ricercato opportunità d’investimento con rendimenti più interessanti per mantenere i margini di profitto. Probabilmente non è l’unica causa, ma sicuramente ha contribuito, nell’ultimo decennio a far crescere nel Continente africano il debito, arrivato, secondo gli ultimi dati, mediamente ad un valore superiore al 50% del Prodotto Interno Lordo.

Verrebbe da dire che è poca cosa se li confrontassimo con la media europea pari a 83%, tuttavia ciò che fa la grande differenza, anche in questa situazione, è il raffronto con il costo per finanziare il debito, che per l’economia africana è molto alto e va ad incidere per circa il 12,5% del totale della spesa pubblica.

Siamo ancora lontani dal 25% che ha causato la crisi nel 1996, tuttavia la direzione è la medesima anche per i motivi che diremo in seguito. I debiti dovrebbero essere contratti a fronte di politiche d’investimenti in infrastrutture, istruzione, sanità ma purtroppo tutto ciò non si è visto, ancora in questi periodi circa il 70% della popolazione africana vive senza elettricità e soprattutto 300 milioni di persone non hanno ancora accesso all’acqua potabile.

Tutti questi debiti evidentemente sono serviti ad operazioni finanziarie e in minima parte a creare sviluppo ad un Continente che tutti ripetono essere il futuro per l’economia mondiale. Per ora, da opportunità si sta mostrando un incubo, a causa del fenomeno della emigrazione.

A peggiorare lo scenario è che un consistente ammontare di debito è stato stipulato in valuta estera, sotto questo aspetto certamente quindi non aiuta il recente rafforzamento del dollaro sullo scenario internazionale.

Il continente africano è ricco di materie prime, in particolare di petrolio (Angola, Ghana e Nigeria) e poiché la valuta di riferimento per lo scambio per queste materie è, per la maggior parte, il dollaro, ad ogni rafforzamento di questa valuta si accompagna una discesa dei prezzi delle materie prime. Semplificando potremmo dire che un dollaro forte comporta problemi per i debiti in valuta, e inoltre un dollaro forte determina ulteriori difficoltà per il prezzo delle materie prime.

Facile prospettare che il Continente africano sia “seduto” su una “bomba a orologeria”. Ad ogni richiesta di debito, l’altra faccia della stessa medaglia, vi è qualcuno che desidera convertire moneta in un credito, i processi continuano compensando attività (crediti) e passività(debiti) sino a quando non giunge una stretta creditizia.

La fotografia del Continente africano attuale mostra che molti Paesi dell’area abbiano sprecato anche questa occasione, basando le loro politiche solamente sulle esportazioni di materie prime, mentre avrebbero dovuto investire le risorse in investimenti verso industria manifatturiera, nei servizi e soprattutto in istruzione. La situazione non promette niente di buono ma come sempre la sfida non è economica ma politica, una lezione che la storia recente ci ricorda costantemente ma continuiamo a dimenticare.