Lebu: Quando un’Azienda Italiana Abbraccia il Tema della Gamification Aziendale

Alzi la mano chi di voi non ha mai sognato di applicare al contesto lavorativo il motto “lavorare divertendosi”. Se poi al concetto di divertimento viene affiancata la parola videogames, allora quel sogno, teoricamente, parrebbe diventare irraggiungibile.

Non per Lebu, spin off della nota azienda di formazione Cesim, che, sull’onda dell’entusiasmo del fenomeno della gamification, ha sviluppato in Italia una vera e propria piattaforma di social learning, con lo scopo di utilizzare il divertimento come leva di apprendimento in ambito aziendale. Noi di Smartweek ne abbiamo parlato con Giancarlo Novara, CEO di Lebu e Marco Rosetti, co-founder di Cesim Italia.

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Da dove nasce l’idea di apprendere “videogiocando”?

In realtà sono sempre più numerose le aziende che puntano sulla formazione digitale oggi pensata anche per aumentare ad esempio le vendite, in versione videogame. L’esigenza nasce dalla richiesta di ottimizzare il tempo trascorso per l’apprendimento in azienda, magari andando contro quelle logiche che vedevano la formazione come qualcosa di lungo e alle volte piuttosto noioso. Tramite il gioco, in pochi minuti, si sperimentano e si mettono in pratica concetti e  azioni che avrebbero richiesto giorni e giorni di insegnamenti teorici. Questo tipo di formazione decodifica i meccanismi del gioco, basato su obiettivi, problematiche, ricompense e classifiche e li sfrutta a pieno inserendosi nelle dinamiche che si creano in un gruppo chiuso come quello dei dipendenti di un’azienda”.

Come spiegate, ad esempio, ad aziende ancorate a vecchie scuole di pensiero sulla formazione aziendale, una nuova forma di apprendimento di questo tipo?

Attraverso ricerche ed evidenze scientifiche. La leva data dal divertimento è, per esempio, il più forte motivatore esistente, perché biologicamente produce effetti sul cervello che non hanno paragone con nient’altro. L’uso del gioco per insegnare è da sempre il metodo più semplice. Nel gioco infatti, si affinano le strategie e le abilità che poi si applicheranno in altri contesti. Non solo: giocando si perfezionano molte capacità che altrimenti sarebbero difficili da maturare, come i rapporti sociali complessi – saper vincere e saper perdere ad esempio – e le strategie più avanzate per ottenere obiettivi concreti. Sfruttare il gioco è quindi una propensione naturale che può migliorare nettamente qualsiasi tecnica rendendo divertente e quindi motivante l’apprendimento.

L’arma in più, nel caso di Lebu, si chiama social learning?

La gamification aziendale proposta da Lebu prevede la possibilità di scegliere a quali contenuti iscriversi e con quali altre persone entrare in contatto. Ogni azione compiuta sulla piattaforma si trasforma in un punteggio: lezioni, quiz, stimoli, attività, domande e risposte permettono agli utenti di acquisire punti e di alimentare la propria posizione in una speciale classifica. La comparazione del punteggio permette di misurarsi con gli altri membri della community. Questa logica favorisce la partecipazione delle persone, che vogliono fare di più per essere naturalmente “migliori” degli altri, perché la sana competizione stimola l’apprendimento. Inoltre, le classifiche generate dalle attività sono arricchite da contest con premi dedicati che hanno la duplice funzione di rompere la regolarità della normale classifica e di accelerare la fruizione di contenuti.

Quali aziende oggi si rivolgono a Lebu?

Tante. Aumentiamo di giorno in giorno il portfolio di aziende che ci accompagnano in questo processo di crescita. Diventa sempre più semplice vendere la nostra formazione e supportare i nostri partner, perché la gente chiede e crede sempre di più in questi nuovi strumenti di apprendimento.

Chi progetta i vostri videogiochi aziendali?

“Un team composto da una decina di persone, in costante crescita, che proviene dai campi più disparati. Non assumiamo solo ingegneri o sistemisti, ma persone che abbiano passione per la formazione e per l’apprendimento in generale. E soprattutto persone che abbiano voglia di pensare in maniera totalmente unconventional”